Tra lungaggini e burocrazia nove anni per aprire l’Ikea

Ancora una volta, nei giorni scorsi, Sergio Marchionne ha messo il dito nella piaga: «In Italia nessuno vuole investire». I problemi sono molteplici. E se una volta venivano create, con l’ispirazione della stessa Fiat, barriere protezionistiche, ora sono altre le ragioni che tengono lontani potenziali investitori. La burocrazia e le lungaggini per ottenere i necessari permessi per avviare un’attività, a esempio. Proprio come è successo a Ikea, il colosso svedese del mobile fai-da-te, che ha impiegato nove anni prima di poter vedere operativo il punto vendita vicino a Padova (paradossalmente sono passati solo tre anni per aprire a Napoli).
«L’Italia - così Ton Reijmers, general manager per il nostro Paese in un’intervista a Panorama Economy - è tra le nazioni più problematiche a causa dell’incertezza dei tempi». Reijmers non fa problemi a minacciare che Ikea stia riflettendo sulla propria presenza in un mercato al quale sono stati riversati investimenti per 1,2 miliardi di euro e che rappresenta, per il gruppo scandinavo, il terzo fornitore, dopo Cina e Polonia.
«Se continueremo a incontrare problemi per la nostra espansione (“l’iter burocratoco non è mai lo stesso: cambia in base alla zona e al contesto politico”) - aggiunge il general manager, da 12 anni residente a Milano - non è detto che resteremo qui a lungo».

Una decisione che si preannuncia comunque non facile visto che l’Italia è «centrale» per il business di Ikea, che vi ha messo le radici negli anni ’70: ai 18 negozi già aperti, come ricorda Panorama Economy, stanno per aggiungersi quelli di Chieti e Catania. Ostilità degli enti locali e complessità burocratiche permettendo.

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