Roma - Il colpo è di quelli pesanti da incassare. L’affondo del presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà (nella foto) - che mette il dito nelle contraddizioni del ddl Gentiloni e si schiera contro i tetti pubblicitari imposti dal provvedimento - scuote la sinistra e fa perdere la testa a molti esponenti parlamentari e governativi dell’Unione. La reazione prevalente, di fronte all’appunto dell’Authority, non è la messa in discussione del disegno di legge, né tantomeno una contestazione nel merito delle argomentazioni di Catricalà.
La scorciatoia che viene scelta è quella dell’insulto, con una rabbiosa sequenza di dichiarazioni che puntano a colpire l’autore delle critiche. E così l’uomo che fino a qualche ora prima era considerato come un modello di equilibrio e di equidistanza, finisce inchiodato sulla croce delle accuse di partigianeria e «berlusconismo».
«Troviamo singolare che il presidente dell’Antitrust faccia dichiarazioni a favore dei trust e delle concentrazioni. Soprattutto dopo che per tutti questi anni ci ha spiegato che bisogna liberare il Paese dai monopoli: oppure, secondo Catricalà, le leggi valgono per tutti ma non per Mediaset?» dice Roberto Cuillo, responsabile Informazione dei Ds. Torna a commentare l’affondo anche il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni per il quale il problema «non è solo di posizioni dominanti ma anche di garantire il pluralismo. Anche i bambini sanno che nel settore Tv ci sono delle posizioni dominanti» e che sono «necessari dei tetti e che quindi il Parlamento li reintrodurrà». E in serata anche Palazzo Chigi scende in campo affermando che «è assolutamente falso che il ddl ponga un tetto alla crescita del fatturato di qualunque azienda operante sul mercato pubblicitario. Il ddl fissa il criterio di una quota massima raggiungibile».
Il coro anti-Catricalà è alimentato da quasi tutte le voci dell’Unione. C’è chi, come il prodiano Mario Barbi parla di «istituzione svilita». Chi, come Anna Donati dei Verdi, lo accusa di «essere contrario al libero mercato» e lo invita alle dimissioni. Chi, come Alfonso Pecoraro Scanio, consiglia l’arbitro di evitare la formazione di trust in Italia. Ci sono, però, due note dissonanti. La prima è quella intonata dalla Rosa nel Pugno che invita l’Unione ad abbassare i toni e a scegliere la via del ragionamento. «Sono del tutto immotivate le critiche a Catricalà. Suggerisco ai suoi detrattori di rivedere con più attenzione la sua intervista: quale Autorità garante della concorrenza potrebbe non fare simili rilievi?» dice Angelo Piazza. E Marco Beltrandi invita l’Unione a «rispondere nel merito, senza demonizzare chi non la pensa come la propria parte».
Nel fronte anti-Catricalà figurano insomma alcune crepe. Come dimostra anche l’intervento della «Velina Rossa», nota politica dell’area dalemiana dei Ds, che attacca senza mezzi termini Gentiloni. «Ai rilievi del presidente dell’Authority non si può rispondere solo accusandolo di essere berlusconiano. Forse si doveva andare più a fondo nell’approntare il ddl per gli aspetti relativi alla raccolta pubblicitaria. Non vogliamo dire che Berlusconi ha ragione ma ci pare che il decreto non sia stato studiato a sufficienza».
Degno di nota è anche l’intervento dei giornalisti di Mediaset che intervengono per «augurarsi che il ddl Gentiloni non penalizzi uno dei principali gruppi multimediali italiani e soprattutto non abbia ricadute sui livelli occupazionali. È difficile che un azienda quotata in Borsa possa mantenere inalterati i livelli occupazionali a fronte di un consistente calo del fatturato».
La Casa delle libertà, a sua volta, conferma la propria risposta compatta al tentativo del governo di «penalizzare Mediaset». Sandro Bondi attacca la nota di Palazzo Chigi definendola «risibile e molto grave».
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