Professor Vittorino Andreoli, il suo nuovo libro, che uscirà fra due giorni per Rizzoli, si intitola Homo stupidus stupidus. Parla del mondo di oggi. Un po' polemico?
«Ma guardi, non è mia intenzione. Lei, io, tutti noi apparteniamo alla specie Homo sapiens sapiens».
Ce lo ha insegnato Darwin.
«Nell'albero dell'evoluzione, che lui disegna nel 1859, a un certo punto incontriamo l'Homo che, circa 200mila anni fa, si definisce sapiens; e poi, dopo altri centomila anni circa, si aggiunge un altro sapiens. E diventa sapiens sapiens».
Non va bene?
«Non so come si senta lei, ma io sono a disagio in questa definizione, soprattutto in questo momento storico. Perciò dico: dobbiamo correggere la nostra collocazione evolutiva, perché siamo regrediti all'Homo stupidus stupidus. Attenzione però: stupidus è in latino, come sapiens».
E quindi?
«Ha la stessa radice di stupor, qualcosa che colpisce. Vuole essere un termine dell'antropologia, non un'offesa. Che poi, se do del cretino a uno, non lo offendo: faccio diagnosi».
Professore...
«Guardi, nelle sue prime classificazioni psichiatriche, Pinel definisce quattro categorie: la malinconia, la mania, il cretinismo e la demenza. In Italia, nell'Ottocento, all'epoca della pellagra il cretinismo era una diagnosi».
Tornando allo stupidus...
«A me sembra più offensivo chiamare quest'uomo sapiens, due volte oltretutto. Perché l'uomo si sta comportando in modo stupido: fa cose contro se stesso, contro l'evoluzione. Mi pare evidente che l'uomo stia diminuendo la sua sapienza. Infatti parlo di agonia della civiltà, e per civiltà intendo quella nata ad Atene intorno al VI secolo a. C.».
L'uomo non è da sempre imperfetto, per esempio in molte funzioni, rispetto ad altri animali?
«Le imperfezioni sono importantissime. L'uomo imperfetto cerca, tende alla perfezione, non è quello che distrugge. Se conosce un uomo perfetto, me lo mandi che lo curiamo».
Nel libro parla di regressione anche a livello cerebrale, di «neocorteccia a riposo». È così?
«È a riposo perché non è utilizzata. E, quando un organo non è usato, regredisce. Stiamo perdendo la memoria dei numeri, perché la deleghiamo al cellulare; e, ancora più grave, la memoria semantica».
È colpa della tecnologia quindi?
«Non do la colpa alla tecnologia. Quello che mi preoccupa è che dovremmo renderci conto che siamo sulla strada sbagliata, per riuscire a correggerci. Amo questa civiltà: non sono un apocalittico, io curo. Ma stiamo diventando l'Homo pulsionalis: non c'è più il controllo della ragione».
Le pulsioni non esistono da sempre?
«Certo. Però Vico diceva: la civiltà è il passaggio dalle pulsioni alla ragione. Il problema è che gli istinti non sono più controllati, in maniera diffusa. Il comportamento dell'uomo è contro se stesso».
Da che cosa lo vede?
«Da tre sintomi. Il primo è la distruttività. In essa non c'è scopo: l'uomo distrugge, uccide l'altro, se stesso e spacca tutto. Distruggiamo la nostra casa, le donne, i bambini. Stiamo distruggendo la storia, i siti archeologici... Tutto. C'è una cultura del nemico».
Che cos'è?
«Funziona così: incontro una persona e, fino a prova contraria, è uno che ce l'ha con me e mi vuole uccidere. Ma questa, che non è cultura bensì pregiudizio, blocca la società: l'uomo è fatto per relazionarsi all'altro».
E qui veniamo al secondo punto dolente, l'etica.
«Il secondo segno della regressione: la chiamo la caduta dei principî. I principî non sono più considerati. E non è vero che sia sempre stato così».
Di quali principî parla?
«Quello per cui io devo rispettare l'altro. Attenzione: non parlo di leggi. La nostra società legifera su tutto, e poi nessuno segue le leggi; ma i principî non sono legiferabili: fanno parte della società umana, perché rendono possibile il vivere in relazione con gli altri».
C'è un legame fra questa situazione e la follia, quelle che chiama le «fratture io-mondo»?
«La vita di ciascuno nasce da un rapporto fra l'io e il mondo, inteso dal punto di vista sia naturale, sia delle relazioni umane. La vita è un adattarsi - non passivo, bensì attivo, dice Darwin, che usa il termine fitness - dell'io al mondo».
E se il rapporto si rompe, o non si realizza?
«Nascono le categorie della follia: l'incapacità di vivere nel mondo. Per esempio, il depresso vuole fuggire da esso. Lo schizofrenico invece si divide dal mondo, non lo riconosce più, è come chiuso in una torre. Nel delirio maniacale invece sono io che domino il mondo».
E oggi che cosa succede?
«Se chiamo tutti nemici; se vivo nella paura; se temo perfino mio fratello, allora lo società non esiste più. Poi c'è un terzo sintomo, che analizzo».
L'uomo senza misura.
«Non so se ha notato, ma ormai è un termine originale. Non si usa più. Oggi occorre l'eccesso: se non mostra quello che ha solo lei, come fa?».
L'eccesso ci danneggia?
«Avremmo la possibilità di svolgere una vita individuale e sociale di gioia. Sa, da psichiatra vorrei che tutti vivessero bene: è la mia malattia, ma mi serve per curare...».
E invece?
«E invece mi chiedo: perché c'è questo eccesso? Perché il ritorno a queste povertà medievali e a queste ricchezze estreme? E badi che io non ce l'ho con la ricchezza. Ma stiamo regredendo alla pulsionalità, al faccio quello che voglio. Come certi quindicenni, ma questo è un altro problema».
Perché ha deciso di occuparsi di un paziente così «esteso»?
«Lo so che io mi occupo di un uomo alla volta, ed è bellissimo, perché un uomo è un mondo; ma qui è un insieme, una civiltà che sta degenerando. E questi tre segni indicano non che un singolo paziente è matto, bensì che la nostra società intera è in agonia, che sta per morire. Se non si cura, la civiltà crepa. E a me di tornare al mondo selvaggio non va per niente».
È la pulsione di morte di cui parlava Freud, che si realizza?
«Credo di sì. Negli anni Venti nessuno gli credeva, lo spinsero a lasciar perdere...».
Professore, esistono anche dei meccanismi di difesa, che ci portano a nascondere questa crisi della civiltà?
«Certo. Esistono a livello sia individuale, sia sociale. Pensi a quello che succede sui social network, alla vendita dei nostri dati, alle fake news... Chomsky ha scritto un libro, I padroni dell'umanità: attenzione, non delle terre o dell'acciaio, ma proprio dell'umanità».
Che cosa fanno?
«Compensano la situazione in cui siamo facendola apparire come vogliono loro. Altro che libertà: siamo succubi di questi strumenti, a cui demandiamo tutto, anziché affidarci al nostro cervello».
Il nostro cervello è in pericolo?
«Io faccio un'esaltazione del nostro cervello. Ma sono preoccupato, perché ce lo stanno portando via: ce ne danno uno in tasca, molto bello, ma io sinceramente preferisco il mio che ho nella testa, anche se è vecchio...».
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