C'era quasi la stessa coda a palazzo Fava, per la mostra di Edward Hopper, che alle urne. Bologna è distratta ma prova a svegliarsi, dopo settimane di campagna elettorale sottotono. L'affluenza nella «Grassa» già in mattinata aveva toccato il 20%, la più alta d'Italia, confermando in serata il primato fra i capoluoghi di regione con il 46%, assestatosi poi a chiusura urne al 58%. Nove candidati, 17 liste. Voto secco per 6 circoscrizioni. Al ballottaggio approda il sindaco uscente Virginio Merola che, secondo le prime proiezioni poteva contare su un 43-47% dei voti, appoggiato da Pd e 4 liste civiche. Un buon vantaggio ma non una vittoria secca come nel 2011. Renzi glielo aveva chiesto, «Per non buttare altri soldi». Merola, aveva anche criticato il ministro Angelino Alfano sull'ipotesi di voto allungato a lunedì: «Siamo europei, un giorno in più per vincere non ci serve». Tant'è. Ora gli serviranno due settimane per convincere almeno la maggioranza dei 300mila bolognesi. Ad inseguirlo, a distanza con uno scarto di quasi 20 punti percentuali, sono in due, il centro destra e M5S. A spuntarla al ballottaggio sarebbe per un soffio Lucia Bergonzoni, con un 19-23%, raccolto grazie ad un centrodestra compatto ma a trazione (quasi integrale) Lega, oltre a due civiche. Già la Lega all'attacco nell'Emilia rossa è una notizia e una vittoria personale di Matteo Salvini più che del centro destra. Prova ne sono state le sue 5 «calate» in città, fra bavagli, piazze negate e qualche contestazione, contro le più tiepide apparizioni degli altri leader nazionali.
La vera notizia, però, al netto del ballottaggio, sarebbe la sconfitta pur sul filo di lana, dei grillini che, proprio nella culla da dove mossero i primi «V-day», incasserebbero un sonoro «vaffa». Si fermerebbe al 18-22% la corsa di Max Bugani. Residente fuori Bologna, è sfilato in città, accompagnando il fratello al voto, ma l'ortodosso di padre Beppe, braccio esterno (ed armato) del Direttorio, soprattutto quando serve puntare il dito su color che son sospesi o da epurare, ha pagato di essere più profeta fuori che leader in consiglio comunale. Già terzo «classificato» alla scorsa tornata elettorale, entrò nel parlamentino con 38 consensi alle primarie online e 19mila preferenze al voto. Oggi la sua candidatura è stata per direttissima. Niente selezioni via web. Una scorciatoia che, evidentemente, ha convinto solo pochi grillini che, turandosi il naso, lo hanno scelto. I suoi voti strettamente legati al portatore come da credo 5 stelle - saranno l'ago della bilancia al secondo turno, non meno del complessivo 16-20% totalizzato dagli altri 6 candidati per i quali la partita in prima persona è terminata. Matteo Badiali, Manes Bernardini (dato tra il 5 e il 7%), Sergio Celloni, Mirko De Carli, Ermanno Lorenzoni e Federico Martelloni valgono con le loro civiche e per gli endorsement che verranno. La partita è delicata, costruita sui temi di legalità, sicurezza e lavoro. Valori che la «Dotta» ha, suo malgrado, perso di vista in questi anni. Quasi mille anni di università, 100 di Lamborghini e 90 di Ducati.
Eppure i fasti sono lontani: tramontata l'età dell'oro (rosso Pci) di sindaci, per i luoghi, leggendari, come Renato Zangheri, perfino l'età del ferro e degli epigoni sembra lontanissima: da Walter Vitali alla parentesi di centro destra guidata da Giorgio Guazzaloca, passando per Sergio Cofferati, fino ad affondare negli scandali di Flavio Delbono, la rossa Bologna ha cominciato a sbiadire. Merola lo sa e il suo scarso feeling con Renzi, esasperato dalle differenti posizioni sul Jobs act, non aiuta.
Borgonzoni ha parlato di primo tempo soddisfacente e promesso di far tornare i tempi in cui «Bologna tremare il mondo fa». A chi saprà credere ancora questa «Vecchia signora dai fianchi un po' molli»? Quindici giorni e lo sapremo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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