È che aveva ancora tanto da fare e dare. Per questo la scomparsa di Piero Solzi, dopo una lunga malattia, si porta dietro molto più del triste e sacrosanto rimpianto per una persona cara. Piero, classe 1935, non era famoso ai più, ma era famoso per la gente vera del basket nazionale e lombardo, quella gente - per citare il titolo di un suo libro - che il basket, magari in segreto, lo chiamava e lo chiama ancora palla al cesto. Un libro, questo, uscito qualche anno fa per celebrare il magico scudetto della Gilbertina, campionato 1955, serie juniores, che raccontava una storia sportiva minore, legata ai colori e profumi della sua terra, di Soresina. La vita di Piero Solzi rientra fra i rari esempi dello sport vissuto come si dovrebbe, senza gli eccessi del professionismo ma con la fede della passione e sempre con un occhio fisso sulle cose importanti della vita. Perché Piero è stato atleta, allenatore ma anche dirigente dazienda e marito e padre e poi, quando altri avrebbero comodamente pensato solo alla pensione, è diventato osservatore tecnico del Basket Cantù, in Italia e allestero. Dieci anni importanti, anni sui quali in Brianza si discute ancora ricordando la coppa Korac vinta nel 91.
Quelli per cui il basket sarà sempre palla al cesto lo rimpiangono, e grandi come Meneghin e ct Carlo Recalcati - che gli scriveva «Piero, amico mio e del basket...» - lo ricordano così comera: sempre con un occhio allo sport e uno alla vita.
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