Pietro Acquafredda
da Roma
Arturo Toscanini era «una stella per tutti noi giovani musicisti» ricorda con commozione ed ammirazione Lorin Maazel. La sua impronta è ancor oggi come stampata col fuoco su ciascun strumentista della New York Philharmonic, la più antica orchestra americana, nata nel 1842, a capo della quale Toscanini lavorò per otto anni (1928-36), e con la quale fece una trionfale tournée in Europa, nel 1930, toccando oltre cinquanta città. Nel nome di Toscanini ed in suo onore oggi Maazel, torna in Italia, a capo di quella stessa orchestra, di cui è direttore musicale fino al 2008; e ripercorre le tappe italiane di quella storica tournée: Roma (tre sere consecutive, con il medesimo programma, a chiusura della stagione di Santa Cecilia; oggi ultima replica), Firenze (domani), Milano (martedì prossimo); e, in aggiunta, Parma, la patria di Toscanini (mercoledì 14 e venerdì 16, Teatro Regio; nel secondo concerto, ovvio, tanto Verdi, con la partecipazione del soprano Mariella Devia); Ravenna con due date, 17 e 18 giugno, in una delle quali sarà Muti a dirigerla (per il Ravenna Festival di sua moglie Cristina, ed in omaggio ad un direttore «da sempre amico dell'orchestra», ha sottolineato Zarin Mehta, fratello di Zubin, e amministratore dell'orchestra) e, per finire, Trieste (martedì 20), sede madre delle Generali, sponsor di questa lunga tournée, dopo l'unico appuntamento in Slovenia, a Lubiana, il giorno precedente.
Come l'orchestra anche Maazel vanta forti legami con Toscanini che lo fece salire, ancora in calzoncini corti, sul podio della Nbc. Per testimoniare pubblicamente a Toscanini il suo debito di riconoscenza, ha assunto la direzione della Filarmonica Toscanini, oggi Symphonica Toscanini (domenica e lunedì scorso l'ha diretta a Mosca) con la quale il prossimo anno compirà in America un lungo giro di concerti.
Dell'odierna tournée italiana, di insolita lunghezza rispetto agli standard, ha parlato Zarin Mehta: «l'ultima volta che siamo venuti in Italia è stato nel 2003, per tre concerti a Cagliari. Venne a trovarci Mel Sambler, ex ambasciatore in Italia, amico dell'orchestra ed appassionato di musica; fu sua l'idea di una tournée italiana. La sposammo, ma occorreva uno sponsor, e lui lo trovò».
E Maazel, a proposito dei tre programmi, ribadisce: «La scelta deriva dal repertorio recente dell'orchestra, Haydn, Kodaly, Berlioz, Mahler); ma anche dall'opportunità di fare sfoggio di tecnica e virtuosismo strumentale. Per Mozart, invece, va cercata nella vocazione classica dell'orchestra, che ha radici europee». Maazel, al suo debutto nella Sala Santa Cecilia dell'Auditorium, non è sembrato spaventato dal grande spazio; e, a giudicare dalle prove oltre che dal primo dei tre concerti, è parso completamente acclimatato nella non sempre docile acustica della grande sala. Anche l'orchestra ha trovato il giusto suono, senza dover pompare i pianissimo, né attutire gli scossoni tellurici. Per l'orchestra: suono denso, unisono perfetto, virtuosismo da vendere: poche altre sono capaci di tanto.
Nessun dubbio che avremmo assistito ad una serata memorabile. Ed in parte lo è stata, almeno nella Sinfonia fantastica di Berlioz, dalla cui trama drammatica Maazel si è fatto finalmente irretire, con momenti davvero emozionanti e di puro godimento (Marcia al supplizio, Sogno di una notte di Sabba). Mentre nei due brani iniziali, messi lì per mostrare le tante anime stilistiche e musicali oltre che sonore dell'orchestra - le brahmsiane Variazioni sopra un tema di Haydn e le Danze di Galanta di Kodaly - Maazel è come rimasto alla finestra a guardare, svogliato, estraneo. Puro edonismo sonoro, sfoggio di colori che talvolta rappresentano la componente principale, ma quasi mai l'unica nella quale si esaurisce l'essenza di un brano musicale.
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