Cultura e Spettacoli

Macché barbarica Daria Bignardi è sempre più snob

La conduttrice parte male con la nuova stagione. Ha rinnegato il suo lato pop, scegliendo lo chic

Macché barbarica Daria Bignardi è sempre più snob
Una donna che cerca il sen­so delle cose di solito fini­sce col perdere quello della misura. Se poi fa la condut­trice televisiva, rischia di la­sciarci lo share. Se metti in piedi un trasmissione che ha la pretesa di farci spiega­r­e le Verità della Vita da Fol­co Terzani (?!), e fai il 3%, o non hai le idee chiare tu sul­la vita, oppure hai un con­cetto stravagante di televisione. Partita a vele spiegate con l’ambizione di fare un programma alternativo e spiazzante, Daria Bignardi con Le Invasioni Barbariche ha finito con l’incagliarsi nel peggior conformi­smo nazional-intellettuale della tv ge­neralista. Ammainando i miglio­ri propositi shock e imbar­cando tutto il peggio del­lo snob.

Insopportabilmen­te snob, noiosamen­te prevedibile, anti­paticamente ombeli­cale, il programma Le Invasioni Barbari­che riproduce, più che in ogni altro prodotto te­levisivo, il format cultural­caratteriale della conduttrice, che da grande voleva fare la scrittrice ed è finita a intervistare Christian De Sica. «Vorrei, ma non posso».

La Bignardi vorrebbe essere Fabio Fa­zio, ma essendo la Bignardi è costretta a prendersi, una settimana dopo, gli stes­si ospiti di Fazio. E visto che l’attualità del personaggio è già abbondantemen­te consumata, tenta di sfruttarne il côté culturale. Che se ti capita Jovanotti an­cora ancora, ma se hai a che fare coi tea­trini imbarazzanti di Terzani, un po’ me­no.

Yaaaaaaawn , che sonno.

La Bignardi vorrebbe fare la Terza Pa­gina della televisione.

E quello che le rie­sce, al massimo, è una rubrichetta per Vanity Fair. Legata a triplo filo di cache­mire alla solita compagnia di giro che parte proprio da Vanity Fair , passa dal­le pagine Cultura& Spettacolo di Repub­blica e finisce a Deejay Chiama Italia , prima di accomodarsi al tavolo rosso di Montinaro delle Invasioni Barbari­che, Daria Bignardi vorrebbe far dimenticare la propria ci­fra pop forgiata nella con­duzione del Grande Fra­tello e imporre piuttosto un nobile pedigree me­diaticamente più impe­gnato. Rinnegando quando all’epoca presen­tava con un certo orgoglio Pietro Taricone, l’Ottusan­golo e Salvo il pizzaiolo, e com­piacendosi oggi quando intervista con una malcelata insofferenza I Soliti Idioti o Luca&Paolo. Invece, cara Daria, cambia il format, ma non la sostanza.

Intollerante da sempre alle interviste quando è lei l’intervistata, sembra or­mai non tollerare neppure quelli che in­tervista lei.

Nelle due puntate della nuo­va serie del peggior talk show prima del weekend, la Bignardi è apparsa ai critici televisivi incapace di graffiare come un tempo: stanca, spenta, svogliata. Fuori contesto, insomma. Come le Lanvin dé­colletés col tacco che indossava ieri se­ra. Perché a un certo punto della carrie­ra, come nella vita, devi deciderti: a cin­quant’anni o fai la Sex and the City o fai l’intellettuale.

Karma pesante e trucco leggero, Da­ria Bignardi è naufragata in una terra di mezzo. Come le sue Invasioni: barbariche nelle intenzioni, raffinal-chic nell’effetto.

Quando,l’altra sera,tra­scinandosi indolente per lo studio, con la sua vocetta nasale e beffarda, annuncia­va «un film di cui senti­rete molto parlare», «tratto da un libro Ei­naudi», interpretato dall’«attore del momento»... an­che il più addormentato dei telespettatori aveva già capito, grazie a quel­la prevedibilità tipica delle trasmissio­ni che piacciono al pubblico-che-si-pia­ce, che sarebbe entrato Pierfrancesco Favino. Bravissimo, interessantissimo. Scontatissimo. Del resto, il tasso di sor­presa dei programmi di La7 ha le stesse percentuali dello share di rete: uno o due virgola qualcosa. Entrata a La7 per invaderla, la Bignardi è stata respinta. Anche dall’audience.

Settimane fa, in un pezzo molto vani­ty , ironizzando sui luoghi comuni della sinistra radical-chic, cioè se stessa, la Bi­gnardi ha scritto: «Chessarà mai se ci toc­ca pagare cinque euro al giorno per en­trare in macchina in centro a Milano, fat­ti i conti alla fine dell’anno ci comprere­mo una sciarpa di cachemire in me­no... ». Dimostrando, con una sola battu­ta, due cose. Di essere molto indietro in fatto di stile, perché adesso va la lana di vigogna, e troppo avanti per arro­ganza, non essendo lei una di quelle mamme che devono portare due figli all’asilo col passeggino sui mezzi pubblici, né uno di quei pendolari che a cinque euro al giorno alla fine dell’anno con la sciarpa di cachemire si pulisco­no il mood . Ma, del resto, mamme - lavoratrici e pen­dolari - precari sono fuori tar­get. Loro mica vedono le Invasioni Barbariche . Semmai li intervista Gad Lerner.

La7: per pochi, ma migliori.

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