"Macché controcultura, il cinema è popolare"

Il regista de La solitudine dei numeri primi, Saverio Costanzo: "Sono convinto di aver girato un'opera pura e non paracula". Sulla trama spiega: "Al centro c'è il corpo, un tema politico e attuale"

"Macché controcultura, il cinema è popolare"

L’avevamo lasciato spaventa­to, la scorsa settimana alla Mostra del Cinema di Venezia, dalla gran­de attesa che s’era creata intorno alla sua trasposizione cinemato­grafica di La solitudine dei numeri primi . Lì aveva esordito dicendo: «Non sono Visconti e il mio film non è Il Gattopardo ». Ora invece lo ritroviamo come il trionfatore del box-office. Appena uscito nel fine settimana è arrivato terzo (co­me il numero dei suoi film). Ma con poco meno di un milione di euro d’incasso e un’ottima media per copia è lui (con Medusa che lo distribuisce in quasi 400 sale), il ve­ro vincitore del botteghino appe­na dietro ai 3D Shrek e vissero felici e contenti e Resident Evil: Afterlife . Una bella rivincita sulla giuria ve­neziana presieduta da Quentin Ta­rantino che l’ha ignorato perché giudicato «un po’ confuso senza personaggi riconoscibili».Costan­zo, in tour per le Feltrinelli- ieri era a Roma - prima di partire questa mattina per il festival di Toronto, risponde per le rime: «Non è un film incomprensibile né comples­so. A Padova una signora che ha visto gli altri due miei lavori m’ha accusato di essermi “normalizza­to”. Allora lo dico anche ai critici a cui questa normalizzazione sem­bra aver dato fastidio: non mi è sta­to imposto nulla né tanto meno di ammiccare al pubblico. Il nostro è un Paese molto ideologico che non ci consente di andare avanti». Poi l’autocritica più spietata: «An­ch’io ero arroccato nella mia ideo­logia di fare controcultura. Ma ho capito che il cinema è arte popola­re e deve essere fatto con gioia. Pri­ma pensavo solo di farlo contro qualcuno e questo mi ha procura­­to infelicità. Ora mi sento liberato. Ma devo ammettere che all'inizio ho avuto paura di farlo, il best-sel­ler mi puzzava di gusto dominan­te. Non provarci perché era un li­bro di successo però era una cosa ideologica e soprattutto stupida. Ho fatto un percorso per conserva­re la mia purezza di sguardo». E, per chi non avesse ben inteso, co­nia pure uno slogan: «È un film pu­ro, non paraculo».Perché-aggiun­ge - «è ambientato nei miei anni Ottanta, è la mia generazione». Che poi è secondo lui anche la chiave per capire la formula del successo dei “numeri primi”:«È la storia dello stravolgimento di due corpi in un decennio, un tema molto politico e attuale».

E se è vero che «attraverso la storia di un altro ho capito molte più co­se di me stesso », nel film deve aver­ci messo anche del suo, a giudica­re da come saluta il pubblico: «Mi aspettano anni difficili, distrugge­rò la mia esistenza, tendo a perde­re e credo mi capiterà ancora».

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