Macché diffusori: la F1 decisa da un trapano

nostro inviato a Shangai

Formula uno, mondo governato e deviato da diffusori, strategie, fibre di carbonio, fogli di titanio, piloti miliardari, manager billionaire e jet privati e yacht e belle donne e veline e poi e infine e finalmente lui: un Black&Decker. L’umanizzazione del patinato che corre, del «trecento all’ora style» arriva quando il banale aggeggio scolpisce, come un finto Modigliani di tanti anni fa, la copia esatta di un capolavoro: il capolavoro dell’arte operaia capace di risollevare un team. E sia dunque così, e sia che il glamour Renault dell’abbronzato Briatore e la schiettezza talentuosa del più semplice dei piloti, Fernando Alonso, si ritrovano a braccetto muniti di un banale trapano per riportare in vetta la formula uno del sudore e delle notti insonni, non quella degli insulti e degli appelli.
Succede in Cina, succede di venerdì pomeriggio, quando un gruppo di stanchi e sbattuti meccanici dello spagnolo si ritrova confezionato il pacco regalo e vede arrivare illuminata e incredibile e misteriosa come l’Arca dell’Alleanza, una cassa grande come un posteggio. Dentro c’è il diffusore della provvidenza motoristica, l’oggetto che se montato si spera possa cambiare la vita dei molti che in F1 inseguono le BrawnGp in vetta al mondiale. Accade così che i volenterosi meccanici ingurgitino al volo un panino e inizino le lente e lunghe operazioni di montaggio del fatidico fondo vettura. «Li ringrazio per il lavoro che hanno fatto, per il magnifico aiuto che mi hanno dato» dirà un Alonso ancora più umano del solito, capace lui, più di altri piloti, d’accorgersi quando molto di ciò che ottiene è merito di uomini piccoli e invisibili. Uomini che s’ammazzeranno di fatica per tutto il venerdì sera, per tutta la notte, fino alle sei di ieri mattina, quando staccheranno giusto un’ora.
Ed ecco che la macchina è pronta per le libere, però, diamine, ’sta macchina non va come dovrebbe andare… sarà il verdetto di quei soli tre giri, colpa del motore che scalda perché il diffusore della provvidenza non è un vestito che calza a pennello. E allora avanti, senza fiato, ad avvitare, sbullonare, soprattutto a trapanare per aprire piccole bocche per far respirare il motore e inviare poi da Alonso un messaggero sudato con la ferale notizia: «Il problema è stato risolto… ». «Come?» chiederà il campione, «ci ha salvato un trapano».
Trattasi di sacrosanta verità, evidenza dei fatti, lo dirà anche patron Briatore, «abbiamo sistemato tutto con un Black & Decker», lo confermerà Fernando, lo racconterà nel dettaglio il suo terapista e amico e confessore, Fabrizio Borra: «Quei ragazzi nel box si sono dannati per un giorno e una notte, ma quando hanno capito che la macchina con il diffusore aveva dei problemi, hanno iniziato a picchiar di martello, a tagliare, a trapanare, sembravano i meccanici di una volta, di una F1 d’altri tempi, quella in cui rappezzavi la monoposto con quel che avevi e poi incrociavi le dita... ».
Come farà un attimo dopo Alonso, siglando di nuovo con uno sguardo veloce verso di loro, l’atto di fiducia che ogni pilota sottoscrive con i ragazzi del proprio box, quelli che come ieri, a colpi di trapano e buchi, hanno sistemato i problemi di gioventù del diffusore della provvidenza. «Sono andato in pista per la pole alla cieca, senza sapere se la mia monoposto fosse completamente a posto, sapevo solo che i ragazzi avevano lavorato giorno e notte, che non avevano dormito, per cui non dovevo sbagliare, non dovevo mettere a rischio tutta la loro fatica», dirà il campione un attimo dopo aver conquistato il secondo tempo.

Poi giusto il tempo per un sorriso, ricordando gli attimi concitati prima di accendere il motore, l’ok con un segno della mano, la macchina che s’infila nella corsia dei box, due giri, il «tempone», il rientro, la visiera del casco che si solleva e i suoi occhi grandi puntati dritti verso i ragazzi del box. Ragazzi che sorridono con lui pensando al sudore, al guidare alla cieca e a quel Black & Decker.

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