A meno di ventiquattro ore dallinclusione in dozzina alla 65ª edizione del Premio Strega, Giorgio Nisini, presentato per Fazi al «premio letterario più importante dItalia» (come lo definisce lui stesso) da Giuseppe Leonelli e Massimo Onofri con il suo La città di Adamo, ha già molto da dire. In primis sullapparentamento fatto in queste pagine nei giorni scorsi tra il suo romanzo e la produzione Gomorra&Affini. Nisini vuole sganciarsi dalletichetta di «figlio di Saviano». Soprattutto per poter definire il suo libro - storia di un imprenditore agricolo che scopre nel passato del padre lamicizia con un boss della camorra e che perciò intraprende un viaggio nella memoria che lo porta a interrogarsi sul potere e il fascino del male - romanzo al cento per cento. Senza «contaminazioni giornalistiche», scorie dinchiesta, reflui di battaglia. Non cè polemica nei suoi toni, semmai echi che altri definirebbero anacronistici o velleitari. Perché lapparentamento a un successo a volte fa di te almeno un successino. E perché in un tempo in cui tutto è ibrido e confuso e orizzontale e antiaccademico, a chi vuoi che importi che cosa sia letteratura pura, che cosa sia narrativa, che cosa sia uno Scrittore? A Nisini.
Cè in lei un anti-Saviano che osa definirsi tale?
«La mia esperienza non è paragonabile a quella Saviano. Una tessera tematica non è sufficiente. Nel mio romanzo la camorra è un pretesto per parlare del male in sé, di questione morale, legalità, corruzione. Tematiche che la camorra può soltanto far partire».
Esattamente quel che da anni fa Saviano: è diventato un maître-à-penser sul male, la questione morale, un guru della legalità. Pur essendo partito «solo» da uninchiesta di camorra.
«Io rimango un romanziere puro, narro una storia. Mi interessano i riflessi che la camorra può avere nellinteriorità di un individuo. Tutti nel mondo di oggi ci dichiariamo contro la camorra, poi nel nostro piccolo scendiamo a compromessi con lillegale».
Esattamente quel che Saviano dice di fare, sempre da anni: raccontare storie per far riflettere la gente.
«Sì, ma Saviano lo fa da giornalista, io con gli strumenti della letteratura. Un binario differente».
Allora Saviano non è uno scrittore? Eppure sulla copertina di Gomorra cè scritto «romanzo». E il film che ne hanno tratto è fiction, mica un documentario.
«In termini etimologici è uno scrittore, perché scrive. Ma persegue una strada molto particolare, facendo denuncia civile. Ricordo unintervista di Sciascia dell82, dieci giorni dopo luccisione del generale Dalla Chiesa. Disse: Trovo piuttosto fastidioso quando i giornalisti mi fanno domande sulla mafia. Io non sono un mafiologo, sono uno scrittore. Sono contro le visioni manichee. Nel mio romanzo ci sono zone grigie tra legale e illegale, il camorrista è ambivalente, ipnotico, crea fascino. È capace di atti feroci, ma si legge la letteratura umoristica inglese. Ha carica visionaria. E su chi dovrebbe rappresentare il bene cade lombra del dubbio».
In effetti nei bagni di folla che circondano Saviano, nessuno alza mai la mano citando le «zone grigie».
«Ma perché Saviano fa appunto altro, unoperazione pedagogica. La domanda è: il vero scrittore deve essere impegnato civilmente o no? Io ho unidea di scrittura che può incidere civilmente molto di più senza educare ma analizzando. Una scrittura meno consolante, più complessa, che mette a fuoco i buchi di coscienza, i grandi dubbi. Delitto e castigo, Edipo Re, Il mostro di Düsseldorf: non lorco senza possibilità di redenzione, ma luomo che vive la propria condizione criminale».
Fazi appartiene a un grande gruppo come Gems. Sente alle sue spalle il lavorio delle grandi manovre editoriali per lo Strega?
«Manovre sì, a tutti i livelli, non solo dei grandi gruppi. Sarebbe utopistico credere il contrario».
Ma per essere presentati allo Strega si lotta, prega, ama con e per il proprio editore o no?
«Il mio romanzo è stato annunciato per lo Strega lo scorso agosto. Nessuna altalena di nomi in Fazi».
E il premio le piace così comè? Con questo pullulare di esordienti?
«Sono daccordo che debba tornare punto di arrivo o tappa e non punto di partenza. Però il vero criterio selettivo non devono essere età o fama, ma la qualità dei libri».
Possibile che la qualità stia tutta negli esordi?
«Certo, se Eco e Arbasino avessero accettato, avremmo avuto uno Strega differente, questanno. Ma la responsabilità non è del premio, bensì degli editori.
E questanno è andata così?
«Da concorrente, essendo coinvolto, non rientra nel mio stile dare giudizi. Non sarebbe né carino né corretto parlare male degli altri candidati».