Controcultura

Madamine, il catalogo del sovranismo è questo

La sinistra demonizza un'idea che risponde a reali esigenze. Altro che razzismo e xenofobia

Madamine, il catalogo del sovranismo è questo

Da cuore della dottrina dello Stato, luogo centrale del diritto pubblico, bene custodito nella Costituzione repubblicana e nella Carta dell'Onu, la sovranità è oggi divenuta sinonimo di cattivo gusto e di cattiveria, e chi la difende è retrocesso a troglodita. «Disprezzarla, o deriderla» sembra essere l'imperativo del nuovo Dizionario dei luoghi comuni stilato dai moderni quanto involontari Flaubert del «politicamente corretto», il che la dice lunga sullo stato miserabile in cui versa il dibattito culturale, intellettuale e politico in Italia. Come scrive Carlo Galli in Sovranità (il Mulino, pagg. 154, euro 12), «nella sovranità è implicata la questione del rapporto fra unità e pluralità, fra politica ed economia, fra politica e diritto, fra norma ed eccezione, fra ordine e individuo, fra politica e spazio, fra pace e guerra, fra Stato e federazione, fra identità e cosmopolitismo. Intere biblioteche sono state scritte al riguardo». L'impressione è che ormai non legga più nessuno. In compenso però parlano tutti.

Galli insegna Storia delle dottrine politiche a Bologna, dirige la rivista Filosofia politica, pubblica per il Mulino, ha scritto libri come Genealogia della politica e Marx eretico: è difficile insomma derubricarlo a troglodita. In questa categoria dell'evoluzione umana andrebbero semmai ricondotti quelli che non si rendono conto che nessun corpo politico è privo di sovranità e che la sovranità è «la capacità di un soggetto collettivo di avere parola», è «capacità di stabilire come stare nel mondo e nella storia».

Come scrive Galli, è difficile non vedere nell'invocazione della sovranità oggi presente in Europa fra conflitti e polemiche, «il tentativo di recuperare la distinzione fra interno ed esterno, e fra pubblico e privato; ovvero il perseguimento di una nuova protezione, la volontà di ridurre l'insicurezza generata dalle potenze che si abbattono sulle società occidentali, generando impoverimento materiale e ansietà sociale e identitaria». Queste potenze sono di natura economica, «i mercati che i loro magnificatori definiscono inesorabili e onnipotenti (con i mercati non si tratta) senza capire che appunto tale pretesa è ciò che genera la lotta di larghe fasce popolari contro i mercati stessi». Detto in altri termini, la richiesta di sovranità politica indica il ribellarsi all'idea che ci si debba sottomettere a un'autorità trascendente e rimanda a quella che è la prima prestazione della sovranità, ovvero la funzione protettiva. Queste potenze, inoltre, sono di natura demografica, le migrazioni, che se da un lato sono «l'espressione di contraddizioni interne al modo di produzione mondiale», di fatto rimettono in gioco l'antichissima paura che «la civiltà stanziale prova davanti al nomade, la paura dell'invasione da parte di entità mobili e imprendibili, non riconducibili a un nomos, a una dimensione domestica».

Alla attuale ricerca di sovranità corrisponde insomma la richiesta che gli Stati tornino ad appropriarsi della sovranità non nel nome della volontà di potenza nazionalistica, ma, spiega Galli, nel segno «della tutela delle esistenze singole e familiari, dei piani di vita individuali». È uno Stato protettore, quello di cui si sente l'esigenza, non uno Stato guerriero, uno Stato sociale, nel senso di «difesa sociale, di protezione dal mercato dilagante e dall'austerità sempre incombente». E a tutto ciò si accompagna il rifiuto delle cosiddette «società liquide» e delle sue «solidissime, rocciose, inscalfibili diseguaglianze».

Nella ricerca e nella richiesta di sovranità è dunque presente un'istanza politica molto forte, e quindi parlare in proposito di qualunquismo o di antipolitica è una stupidaggine. Lo stare insieme di sovranismo e populismo indica semmai una reazione contro un'economia portatrice di crisi, pericolosa nel suo volersi incontrollabile, rimanda al tentativo di costruire un diverso ordine, più tutelato. Sul termine populismo, «disprezzarlo, o deriderlo», vale la stessa osservazione fatta all'inizio per il sovranismo dei Bouvard e Pecuchet del XXI secolo: «È il nome che le élite sconfitte danno dell'agire del popolo quando questo si rivolta contro di esse»... Ma piuttosto che cavarsela etichettando spregiativamente il fenomeno, sarebbe meglio interrogarsi su come e perché quel fenomeno sia avvenuto.

Tutto ciò porta al cuore del problema. Come scrive Galli, «è dal fallimento della Ue, dal suo interno squilibrio politico, che nasce il sovranismo: ed è quindi errato sostenere che i sovranisti siano i disturbatori di un processo continentale in atto, o i sabotatori di una sovranità europea già esistente». Di fatto, la semi-sovranità rimasta agli Stati non protegge più la società dalle logiche semi-sovrane dell'euro, dei mercati e delle sfide dell'immigrazione. L'anti-sovranismo replica polemizzando contro razzismi e xenofobie, il che vuol dire una giusta polemica contro quei contenuti politici che però non ha nulla a che vedere con il termine di sovranità in quanto tale. Replica altresì nella logica di una vera e propria sovranità europea, il cosiddetto «patriottismo costituzionale europeo», ma qui, come osserva Galli, perché tutto non si riduca a un artificio retorico, si dovrebbero porre in essere alcune caratteristiche della sovranità: forze armate europee, polizia federale, politica giudiziaria, fiscale e del lavoro europea, un sistema istituzionale completamente diverso e, soprattutto, «una discussione politica radicale del paradigma economico oggi vigente. Il che implica uno strappo, una discontinuità, che vanno parecchio al di là della semplice buona volontà, che in ogni caso nessuna élite politica europea dichiara. Implica una rivoluzione politica ed economica su scala continentale, che non sembra al momento all'ordine del giorno e che in ogni caso renderebbe gli europeisti - coloro che parlano di Stati Uniti d'Europa - ancora più sovranisti degli odierni sovranisti».

L'impressione è che ciò che veramente rimane al centro della polemica anti-sovranista sia proprio il concetto di sovranità, la sua volontà e il soggetto che la esercita, ovvero il popolo, e questo nel nome di una coesistenza post-sovrana e post-moderna, soggetti politici plurali e senza unità formale, che è una pura e semplice ipotesi indeterminata, di cui si ignorano persino le condizioni per realizzarla.

Nel suo libro Galli osserva che se è la destra ad aver intercettato la richiesta di sovranità, la responsabilità è della sinistra «che non ha visto la natura a-sociale del liberismo che ha a sua volta assecondato, né la crisi istituzionale che nell'Unione europea ha portato la moneta unica, con le tensioni interne agli Stati, e fra gli Stati, che essa ha generato». Ciò che rende però fragile il cosiddetto «sovranismo di destra» nella tutela reale della società, è l'assenza di un anti-capitalismo nella sua dottrina, nel senso che l'economia neoliberista tende a proporsi come autonoma, cioè autolegittimata, e quindi come sovrana, una sovranità che non richiede tanto l'unità politica, quanto l'unità del mercato. «L'obiettivo del neoliberismo è di sostituire il privato con il pubblico, la libera scelta al comando, il mercato alla decisione, la governance alle istituzioni politiche».

Come si vede, quando si parla di sovranità, si dovrebbe essere seri, perché si ha a che fare con il bisogno di autodeterminazione, con il tentativo di riconnettere realtà economiche, destini personali ed esistenze politiche collettive, concerne il riconoscimento dei conflitti, la necessità di sconfiggere oligarchie. La sua richiesta è forte, e però ancora superficiale, è assente una capacità progettuale, nell'insieme appare ancora inadeguata. Come però scrive Galli, «attraverso di essa s'intravede la possibilità, per quanto remota, di riaprire la storia.

Quella richiesta può indicare un domani, al di là dell'eterno presente che il neoliberismo impone, come destino privo di alternative, a quelle che Nietzsche chiamava masse sdraiate sul ventre; le quali - col ventre peraltro non sazio, per le intrinseche debolezze del paradigma economico dominante - attraverso la sovranità ambiscono, anche se non chiaramente, a un futuro da cittadini e non da consumatori indebitati».

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