Il made in Italy cambia pelle: cresce il peso dei Paesi extra-Ue

L’affermarsi di nuove potenze economiche mondiali (non solo la Cina, ma anche il Brasile) non ha trovato il made in Italy impreparato. È un duplice cambio di pelle quello che sta infatti interessando le nostre esportazioni: da un lato, assume sempre maggiore peso lo sbocco dei nostri prodotti al di fuori dell’Europa; dall’altro, al tradizionale ruolo di esportatore di beni di consumo si sta affiancando anche quello di esportatore di beni di investimento, cioè di beni per produrre altri beni. Nel complesso, quanto sta avvenendo si può tradurre come un duplice segnale di vitalità e flessibilità dell’industria tricolore.
I numeri aiutano a capire meglio il fenomeno importante, in quanto l’export garantisce un quinto del Pil. A gennaio 2011, secondo l’Istat, le esportazioni hanno registrato una crescita congiunturale del 4,3%, particolarmente rilevante verso i Paesi extra Ue (+8,9%), superiore a quella delle importazioni (+2,8%). Considerata la ripresa ancora in chiaroscuro nei Paesi più industrializzati e le mosse anti-inflazione della Cina tese a raffreddare anche la crescita, si tratta di risultati lusinghieri. Ma i sintomi di un passaggio strutturale si colgono tutti nelle rilevazioni di Assocamerestero, e in particolare in quel +25,1% che è la crescita in valore registrata dal made in Italy nel primo mese dell’anno rispetto a gennaio 2010, grazie agli ottimi risultati delle esportazioni nei Paesi extra Ue (+35,3%), che raddoppiano la performance realizzata in Europa (18,8%).
Il nostro Paese spicca anche a confronto di importanti competitor come Germania e Francia, che segnano rispettivamente un +21,4 e un +13,5% nelle vendite all’estero, contro il 23,5% dell’Italia. Cifre ancora più significative se si guarda oltre i confini del Vecchio Continente: l’Italia inizia il nuovo anno da secondo esportatore europeo al di fuori dell’Ue, con una crescita del 31,5% (per un valore di 13,8 miliardi di euro), superando i transalpini, fermi a un +16,7% (13,6 miliardi), mentre la Germania, con un +30,7% e un valore di 30,2 miliardi, mantiene saldo il suo primato. Si conferma dunque il progressivo spostamento delle imprese italiane verso i Paesi che stanno trainando la ripresa mondiale, una tendenza che già nel 2010 aveva portato al 70% il contributo dei Paesi extra-europei al surplus made in Italy (+11,4% in due anni).
«Cambiano le rotte del made in Italy - spiega Gaetano Fausto Esposito, segretario generale di Assocamerestero - , tant’è che dal 2008 a oggi si modifica la classifica delle principali destinazioni dell’export». I tradizionali mercati di sbocco, come Germania, Francia e Stati Uniti, mantengono ancora il podio con quote del 12,8, 11,6 e 6,2% sull’export complessivo, ma «ci sono new entry come la Cina, che solo in un anno guadagna tre posizioni e diventa il nostro terzo mercato extra-europeo di riferimento (con una quota del 2,5 per cento), o il Brasile (in settima posizione)».

L’Italia sta inoltre passando da esportatore di beni di consumo (+12,8% nel 2010) a esportatore di beni di investimento (+14,7%). «L’aumento - dice Esposito - testimonia il processo di riorganizzazione e riposizionamento produttivo del made in Italy».

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