Il «Made in Italy» illumina il cielo di Berlino

L’esposizione illustra tutte le fasi della lavorazione: dal tessuto alla distribuzione. Il pezzo più pregiato è il «cappotto 101801», amato da Isabella Rossellini e Uma Thurman

da Berlino

Berlino apre le porte dei suoi musei alla moda italiana e come sempre la rabbia si mischia all'orgoglio nel celebrare lontano da casa quest'eccellenza del nostro Paese. È stata infatti inaugurata ieri la mostra «Coats! Max Mara, 55 anni di moda italiana» visitabile fino al 4 marzo 2007 presso il Kulturforum degli Staatliche Museen della rinata capitale tedesca. E per festeggiare questo storico avvenimento, l'altra sera la famiglia Maramotti che da due generazioni guida il potente gruppo industriale di Reggio Emilia (4280 dipendenti nel mondo, fatturato annuo di 1.081 miliardi di Euro), ha offerto un'indimenticabile cena nella Sala delle Porte Babilonesi del Pergamon Museum. Qui sono conservati reperti d'inestimabile valore come la celeberrima porta di Ishtar, costruita nel VI secolo a.C. alla confluenza tra i fiumi Tigri ed Eufrate con la cosiddetta «camminata dei leoni» da cui doveva passare l'esercito assiro-babilonese. Stavolta dallo stupefacente corridoio passavano invece i camerieri per servire gli 80 ospiti provenienti da tutte le parti del mondo seduti ad un'unica tavola decorata con gusto caravaggesco. «È un momento magico per tutti noi, nostro padre approverebbe» dicevano i fratelli Maria Ludovica, Luigi e Ignazio Maramotti che dal fondatore Achille scomparso circa due anni fa, hanno ereditato la proverbiale discrezione oltre a quella mistica del lavoro che dal 1951 a oggi ha prodotto una serie di successi inimitabili anche se limitatissimi. È il caso, per esempio, del cappotto 101801 creato nel 1982 e tuttora riproposto in ogni collezione invernale perché talmente perfetto da essere sempre il più venduto del mondo: 135000 esemplari compresi quelli acquistati da personaggi come la Regina Sofia di Spagna, Isabella Rossellini, Kate Blanchett e Uma Thurman. In mostra oltre al modello originale ci sono anche le divertenti rielaborazioni artistiche commissionate nel corso del tempo da Max Mara: dal paltò incatramato su cui campeggia l'irriverente scritta «Meglio Armani» dell'artista Marco Mazzucconi a quello realizzato con le spugnette Vileda per lavare i piatti da uno studente d'arte spagnolo. Ma il bello dell'esposizione curata da Adelheid Rasche con un paziente lavoro durato oltre due anni, sta nella capacità di raccontare in modo semplice e accattivante tutte le fasi del sistema della moda: dal tessuto alla comunicazione, dall'idea stilistica al prototipo industriale con tanto di tempi di lavorazione, principi e metodi di merchandising, distribuzione e diffusione. C'è per esempio una sala in cui basta sfiorare il bottone di un capo esposto per veder comparire un video che in 30 secondi d'immagini interattive spiega come vengono attaccati i bottoni alla Max Mara. Si scopre così che ci vogliono 118 minuti per produrre un cappotto che verrà poi venduto con quel fantastico rapporto qualità-prezzo su cui Max Mara raccoglie da 55 anni i più ampi consensi internazionali. «Con questa mostra dimostriamo che nella moda la creatività non abita solo nella testa degli stilisti: è un sistema complesso e coinvolgente a tutti i livelli», ha detto Luigi Maramotti, presidente e secondogenito del fondatore. Il manager ha poi definito Berlino come città ideale per ospitare una simile esposizione «Perché - dice - quel che è successo qui rappresenta una speranza per tutta l'Europa».

Inutile quindi chiedergli cosa ne pensa dell'inserzione pubblicata proprio ieri sui principali quotidiani tedeschi a sostegno della campagna «Made in for trasparency» promossa dai produttori europei per imporre anche sui nostri mercati l'obbligo di trasparenza nell'etichettatura. «Noi lo facciamo da sempre» dicono i Maramotti. E infatti sono un fenomeno del Made in Italy.

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