Papà Armando non lo voleva, aveva chiesto che venisse ceduto per evitare di essere accusato di favorire il figlio, di impiegarlo anche se non merita. È stato il presidente dell'Albinoleffe Gianfranco Andreoletti a insistere perché puntasse su Nicola, lui ha risposto con sei gol. Tanti, per un centrocampista. Adesso i Madonna sono un po' meno in imbarazzo rispetto a inizio stagione, quando il padre allenatore impiegava il figlio temendo che i tifosi orobici e gli addetti ai lavori sorridessero di fronte alla sua scelta.
«Avevo fiducia nelle qualità di mio figlio - racconta -, il problema era proprio di opportunità. Mi fa piacere per Nicola, che ha segnato anche sabato, a Vicenza, il quadro però resta complicato». Il timore di Madonna padre è di essere scambiato per un involontario, primo procuratore del figlio. «Non so nemmeno chi lo segua, a livello contrattuale. Non abita con me, raramente siamo insieme. Quelle poche volte non parliamo di quanto succede al campo, ci troviamo magari una volta la settimana a mangiare».
Nicola Madonna viene dalle giovanili dell'Atalanta, il genitore è diventato suo allenatore dallo scorso maggio, quando venne esonerato Elio Gustinetti. «Avremmo preferito evitare questa situazione strana - conferma il figlio, 22 anni -, sempre spiacevole, che si presta a fraintendimenti. La società ha voluto trattenermi, la coesistenza sta andando bene, sono contento. Papà non si è mai interessato alla mia carriera».
L'Albinoleffe è l'ambiente ideale per sopportare questa piccola dynasty, la squadra si batte per i playoff e i compagni di Nicola Madonna non fanno nemmeno battute, su padre e figlio. «Tutti sanno la situazione - aggiunge Nicola -, fanno il possibile per renderla normale. Sono più problemi nostri, che ci facciamo da soli, io e papà». Il quale Armando è stato giocatore di serie A, nell'Atalanta e nella Lazio, arrivando a segnare anche 13 gol in una stagione. «Mio figlio è più difensivo, più duttile rispetto a me. Il problema è che deve sempre far bene, altrimenti qualcuno potrà sempre dire che gioca perché è figlio del mister. Psicologicamente è pesante, stressante, stiamo imparando a convivere con l'anomalia».
Viene in mente Cesare Maldini, quando dal '96 al '98 allenò il figlio Paolo in nazionale, di cui era capitano. «Accadde anche al Milan - ricorda Nicola Madonna -, per alcuni mesi.
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