La madre di Tommy nella villetta con la polizia

I magistrati confronteranno il racconto del padre con quello degli altri testimoni

nostro inviato a Parma
Dopo il papà tocca alla mamma. Potrebbe essere lei l'anello debole della catena, il cuneo per sgretolare il muro di silenzio sorto dietro al rapimento del piccolo Tommaso.
Sono ormai trascorsi undici giorni ma di questo bimbo di diciassette mesi, malato d'epilessia, rubato dalla sua casa di Casalbaroncolo, sembrerebbe persa ogni traccia. Così come dei suoi strani sequestratori, che continuano a non farsi vivi. A non chiedere riscatti e nemmeno a dimostrare che il loro innocente ostaggio sia ancora vivo. C'erano le telefonate, soprattutto quelle arrivate dalla Germania, ma gli investigatori le hanno «abbandonate»: si trattava di mitomani. O sciacalli. Non mancano mai in casi simili.
Così, tra tante speranze e poche certezze, l'indagine riparte ora dopo ora. Sincopata, tra interrogatori più o meno programmati, confronti, e blitz a caccia del rapito. Parma e la sua provincia, è cinturata da polizia e carabinieri, persino le cameriere degli hotel osservano i bimbi dei clienti guardando che non assomiglino a Tommy. Gli uomini dello Sco e gli agenti in divisa frugano qua e là, ma davvero oggi, mentre la neve imbianca il giardino dove questo bimbo cominciava a muovere i primi passi, appare tanto un ricerca di «facciata». Un dovere da assolvere. Sì perché il vero perché alla sua sparizione gli inquirenti continuano a cercarlo in famiglia. Dietro alle reticenze, alle verità non dette, ai vizi del papà ora indagato per pedopornografia. Insomma una vittima ma anche un indiziato.
Sua moglie, Paola Pellinghelli, impiegata postale, l'altro ieri è stata segretamente interrogata per cinque ore a Bologna dalla pm della Dda Lucia Musti. La strategia è chiara: separare i protagonisti di questa storiaccia senza fine. Tenendoli a distanza, nella speranza che qualcosa si inceppi. Che qualche altra verità inconfessabile venga fuori.
Nel suo diario si legge di una vita familiare non così idilliaca come appariva da fuori. Di dubbi e angosce, di un amore forse spento. Di un marito distratto e un po' padrone.
Ieri mattina il medico della Asl, è arrivato a Martorano, nella casa della sorella di lei, Patrizia, dove marito e moglie hanno trovato rifugio. «Sono sotto stress, è stata una normale visita di controllo», spiega il cognato Cesare Fontanesi, sempre più imbarazzato.
Meno gradita, invece, al calar del buio la visita di due poliziotti della squadra mobile. Che sulla solita Fiat Bravo grigia, intorno alle 18.15, hanno prelevato la mamma di Tommy portandosela nella sua vera casa, quella di Casalbaroncolo. Sono rimasti tutti all'interno per mezz'ora, lei è uscita con in mano una busta bianca. Quindi il ritorno dalla sorella. La donna è entrata in casa seguita dai due poliziotti che si sono intrattenuti per oltre un'ora.
In Procura intanto altre audizioni, «controlli incrociati, verifiche a quanto è stato detto in questi giorni», spiegano i detective. Tra loro anche uno degli operai che avevano lavorato alla ristrutturazione della villetta acquistata la scorsa estate e diventato, pare, amico di famiglia. Lui, l'altra sera, è uscito dagli uffici dei pm, coprendosi la faccia. Non vuole essere riconosciuto.
Il direttore del poste, il papà di Tommy, tutto sommato tranquillo di fronte a simili pressioni, si limita a dire: «Stiamo vivendo giorni tremendi, ore angoscianti. Perché i miei continui interrogatori? Chi volete che ascoltino gli inquirenti, voi giornalisti?». E se ne riparte, stizzito,a razzo sulla sua bella jeep Crv Honda. Già, come fosse normale, per il genitore di un bambino rapito, essere interrogato per oltre 30 ore, l'ultima volta sabato sera, per quattro ore, fino alla mezzanotte.
Ieri, però, nessuno lo ha chiamato in Procura. Oggi, a Bologna, saranno invece ascoltati dai magistrati la sua amica e avvocato Claudia Pezzoni oltrechè il pediatra di Tommaso. Sono semplici «testimoni». Che continuano a raccomandarsi, chiedendo ai rapitori: «Dategli il farmaco per la sua malattia, il Tegretol. È importante».
Sembra che nessuno prenda in considerazione il fatto che questo bimbo potrebbe non essere più vivo. È l'ipotesi, tragica, che tutti vogliamo rifiutare.

Anche gli investigatori: «Finché non avremo riscontri diversi, noi dobbiamo e vogliamo credere che il piccino stia bene», spiega uno dei duecento uomini che dal 2 marzo stanno cercandolo. Anche questo è ottimismo di facciata?

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