Madrid e Mou, la grande attesa dell’Inter

nostro inviato

ad Appiano Gentile

Tutti appesi a un sogno. Ed anche a un segno. La grande attesa è cominciata. Ufficialmente. Mille persone davanti ai cancelli di Appiano, volti felici, pochi inquieti, tanti speranzosi. Dentro, dall’altra parte della cancellata, duecento tra giornalisti e fotografi ad inseguire sospiri, paure e un cenno. Ieri l’Inter si è aperta al media day voluto dalla Uefa per i finalisti di Champions. Parole in semilibertà. Nessuna strategia svelata. Ma tutti ad occhieggiare i segni e a centellinare risposte all’unica domanda che non debba regalare il campo. Sembrava di sentir canticchiare un vecchio ritornello rivolto ad Ottavio Bianchi ai tempi del Napoli Maradoniano: «Te ne vai, sì o no? Te ne vai, sì o no?». Diverso l’obbiettivo: allora i giocatori e i tifosi lo volevano liquidare. Stavolta è il contrario. Ma la decisione è presa, scrivono giornali madrileni, Mou ha chiuso il contratto con il Real. In Italia lo avevamo capito da qualche tempo. Moratti ha indirettamente confermato.
E ieri Mou ha concesso un testamento spiritual-sportivo. E svelando una strategia già usata. «Quando giocai la finale di Champions con il Porto, a Gelsenkirchen, avevo già firmato per il Chelsea. Sì, ero già seduto sulla panchina del Chelsea». E conquistò la coppa. Mourinho è un grande stratega, ma pure un grande scaramantico: certi riti sono immutabili. Non a caso si è lamentato contro il vulcano che l’ha costretto a cambiare piani di viaggio. Ma non i piani del futuro. Tutti zitti, calciatori compresi: c’è la finale. Mou vuol godersela. I giocatori pure. «C’è qualcuno che ci arriva per la prima volta e forse sarà l’unica della sua vita. Non possiamo pensare ad altro», ha raccontato Stankovic. E gli interisti, soprattutto quelli che non hanno mai visto la squadra loro giocare una finale di Champions, non vogliono perdersi l’incantesimo.
Ieri, anche là fuori dai cancelli di Appiano, tutti per Mou, ma Mou per tutti nel condurre la truppa senza lasciarsi deviare da altri pensieri. Molto bello, anche istigante, vedere un’accorata di popolo. E quando nell’aria si levano sommessi appelli: «Mou non te ne andare». E, anzi, capitan Zanetti parla per tutti: «Mi auguro che il tecnico rifletta bene, ha fatto un grande lavoro, sarebbe un peccato perderlo in questo modo», Mourinho risponde lasciando intendere ciò che va inteso. «I danari non c’entrano, è l’Italia che non mi rispetta».
Il solito ritornello un po’ pretestuoso e un po’ presuntuoso. Fin a svelare la verità. «Il risultato di Madrid conterà zero. Non sarà una partita a cambiare la mia decisione. L’Inter non può fare niente di più per rendermi felice e farmi sentire importante. Non mi deve niente, perché mi ha dato tutto. E io non le devo niente, perché ho dato tutto. I giocatori sono fantastici, c’è empatia con i tifosi, tutti in società sono fantastici. Non è un problema di contratto o di soldi, guadagno già tanto e mi fa perfino vergognare quanto guadagno con la crisi mondiale che c’è. No, tutto sta in un problema di soddisfazione personale, di sentirmi rispettato in un Paese calcistico dove ho avuto tanti problemi».
A questo punto, uno potrebbe prendere il libro e chiuderlo. I tifosi mettersi il cuore in pace. E chi di dovere sfogli la margherita: Mihajlovic che piace a Moratti o Hiddink consigliato da Mourinho? Magari Guardiola, che ha fascino e non è sicuro di restare a Barcellona, ma c’è il problema Eto’o che lui cacciò. Branca ha smentito approcci con Benitez. Capello non rientra negli interessi. Allegri, o un giovane con cui costruire un diverso futuro, potrebbe essere la sorpresa.
Ma c’è la Champions ed allora in alto i cuori, in attesa che il tecnico ufficializzi la scelta. Ormai fa sussultare di più un Balotelli che esce dal campo d’allenamento, toccandosi la coscia sinistra, piuttosto del testamento di Mou. Poi Supermario risbuca, in ciabatte, alla guida di una minicar elettrica e tranquillizza l’intero popolo. «Solo un affaticamento, nulla di grave». In realtà la scaramanzia vorrebbe che qualche top player tenesse tutti nel dubbio fino all’ultimo. Il caso Sneijder ha portato bene. Ma evidentemente Balotelli non sa tener la scena in questo senso. E l’Inter, ormai, vive tra i sogni. «La finale di Champions è la sfida che tutti sognano di giocare. Per gli interisti una partita e una vittoria attesa quasi 50 anni.

Ecco perché non possiamo pensare ad altro, neppure al futuro di Mourinho. Lui non vuole che ne parliamo». Parola di Cambiasso, vecchio saggio come quelli che la società si porterà a Madrid: la squadra che vinse due volte la coppa dei Campioni. Chi c’è ancora e chi la seguirà da lassù.

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