Lo chiamano derby d’Europa e forse, per una volta, nessuno può contestare: 9 coppe da un lato, a Madrid, 7 dall’altra, in via Turati, bastano e avanzano per togliere ossigeno alla discussione. Lo chiamano derby d’Europa e mai come questa volta può godere di un particolare fascino, rappresentato dall’incontro ravvicinato tra Mourinho, fino a qualche mese fa rivale temutissimo di matrice interista, e Ibrahimovic, esponente del primato catalano che a Madrid è capace di provocare più di qualche prurito. Poiché tutto il resto è scontato, persino banale, compreso il tutto esaurito al botteghino che sarà restituito nella sfida di ritorno a San Siro (sera del 3 novembre), ecco che allora la nuova edizione del derby d’Europa serve a raccogliere notizie e aggiornamenti sull’affare Kakà e a stabilire la dimensione tecnica più autentica delle due armate, attese al primo scontro tra giganti.
Finora Real e Milan, in stretto ordine geografico, hanno attraversato un paio di mesi scanditi da lavori in corso, epocali cambiamenti e assestamenti tattici a seguito degli arrivi più importanti dal calcio-mercato: Ozil e Di Maria sul fronte blanco, Ibrahimovic e Robinho su quello rossonero. Mourinho non ha convinto nella Liga tanto da riscuotere in anticipo qualche aspra critica da pubblico e media spagnoli che non sono teneri col tecnico campione d’Europa e pretendono calcio di buona qualità dal Real. Allegri ha da qualche giorno aggirato perplessità e scetticismo diffuso legato al suo lavoro, mettendosi al riparo da rimbrotti dopo il terzo successo consecutivo modellando lo schieramento rossonero sul disegno dell’era Ancelotti, addirittura, con un tre-quartista dichiarato, Ronaldinho, dietro le due punte, Ibra e Pato, chiamate a giocare più vicine.
Perciò il derby d’Europa è il primo banco di prova significativo per i due sfidanti: il Real non ha incrociato rivali di rango, idem per il Milan che ne collezionerà parecchi, da qui al 14 novembre, serata del derby con l’Inter. «È importante fare punti, altrimenti rischiamo di arrivare alle ultime due partite con l’acqua alla gola» la semplicissima etichetta appiccicata da Allegri al suo primo viaggio dentro la storia del calcio continentale. Prima visita al Bernabeu ma forse non è neanche il caso di stare a tenere la contabilità: si tratta di un debuttante che tra l’altro non sembra neanche particolarmente provato dall’emozione.
Da quelle parti nacque il mito del Milan rivoluzionario di Arrigo Sacchi e la fama di Silvio Berlusconi. Sempre da quelle parti Leonardo realizzò un colpo d’ala presentando un Milan a trazione offensiva, con il famoso 4-2-fantasia. Non fu gloria duratura: poi il Milan uscì agli ottavi col Manchester. Il compito di Allegri è ancora più impegnativo rispetto a quello del suo predecessore: non deve diventare re per una notte, deve guidare le bandiere oltre il confine deprimente degli ottavi della Champions che è da sempre l’obiettivo numero uno del nobile casato calcistico. Mica facile.
Pato è guarito in tempo, Seedorf s’è messo a trottare con Gattuso, anche Thiago Silva è destinato a riprendersi il posto al fianco di Nesta eppure il Milan deve dimostrare d’essere all’altezza del marchio rivale, pronto a competere a livello europeo dopo aver tradito qualche affanno tra Cesena e Catania. «Sarebbe un grave errore difendersi a oltranza qui al Bernabeu» è la linea editoriale di Allegri.
A Madrid hanno dimenticato le prodezze balistiche del giovane Papero e hanno continuato a occuparsi di Ibrahimovic e Ronaldinho, il primo segnalato da Mourinho, il secondo da Casillas. Più decisivo il contributo dei difensori, Nesta e Zambrotta in prima linea. Fondamentale per il Milan sottrarsi al trappolone di Mourinho, abilissimo nel tirarsi indietro per infilare i rivali in contropiede.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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