Il maestrino Mauro dà lezioni a tutti tranne che a se stesso

Il direttore di Repubblica fa le pulci a politici e colleghi, ma si dimentica delle sue scivolate. Sbeffeggia Minzolini sul caso Ruby poi fa confusione con i reati

Il maestrino Mauro dà lezioni 
a tutti tranne che a se stesso

È un Ezio Mauro d’annata quello che emerge dall’intervista che ieri ha rilasciata al Fatto. Gonfio di sé come un otre, fa lezioni di giornalismo, le bucce ai colleghi, si erge a Catone, senza mai il dubbio di essere comico.

La tesi del direttore di Repubblica è delle più originali: il Cav è un lubrico e deve smammare con ignominia. Le argomentazioni ci danno uno spaccato del cervello di Mauro. Ezio si lamenta che le tv siano timide sul caso Ruby. Pessimo è il Tg1 di Augusto Minzolini, già suo sottoposto alla Stampa quando lui la dirigeva e l’altro scriveva. È dunque con l’autorità dell’ex capo che chiosa: «Ho conosciuto Minzolini quando dava l’anima per cercare le notizie... Oggi dà l’anima per nasconderle». Poi analizza impietosamente il tg minzoliniano: cela le notizie su Ruby e pompa le reazioni dei berlusconiani sui fatti occultati. Ergo, non si capisce un tubo.

La disinformazione favorisce il Cav che ora cerca di depistarci con «un improbabile piano di rilancio» economico. Puro diversivo per distrarci della vitale questione di Ruby Rubacuori. Lui, Ezio, però non si lascia infinocchiare e guarda - ci fa sapere - la Bbc. La quale giustamente - ah, il giornalismo anglosassone! - apre (breaking news, è il termine che usa) con la notizia del rito immediato chiesto dai pm e la citazione dei capi di imputazione. Nel dirci questo, Mauro sembra sottintendere che le tv italiane li abbiano sempre taciuti. E allora - per colmare l’ignobile congiura del silenzio - ci pensa lui a svelarci i reati del Cav: il primo «prostituzione minorile», il secondo «peculato».

Qui prendiamoci una pausa, facciamo tacere il direttore e ragioniamo con le nostre teste. Ma vi sembra davvero che le tv - Tg1 in primis - non ci abbiano rotto abbastanza con la faccenda di Ruby? Ma chi di noi - salvo Mauro e i mauristi - sente il bisogno di ricorrere anche alla Bbc? O Mauro mente sulle lacune delle nostre tv - e su questo non ci piove - o è un pistola. E questa è, purtroppo, la tragica realtà. Ditemi, infatti, voi se il direttore di Repubblica che da due mesi monta una campagna sul caso Ruby deve parlare di «peculato», quando anche i sassi sanno che l’accusa è «concussione».

Caro Ezio è inutile che ascolti la Bbc se ti manca l’Abc. Il peculato, vedi, si ha quando il pubblico ufficiale (il Cav, nel caso) si appropria di denaro non suo. Dovresti invece sapere che l’accusa al Cav è la telefonata pro Ruby in Questura. Ti sembra che fare uno squillo assomigli a intascare soldi? No, vero? Ecco che perché si parla di concussione, ossia di indebita ingerenza. Chiaro, Eziuccio?

Alla luce del sopra descritto acume, sorbettiamoci un altro po’ dell’aurea intervista. Insisto solo perché Ezio fa a noi una lezione di moralità giornalistica con la cordiale complicità dell’intervistatore. Ecco. Il Fatto: «I magistrati vanno avanti». Mauro: «Ma la fabbrica del fango, immediatamente colpisce. Hai visto cosa hanno fatto alla Boccassini?». A questo punto ci si aspetterebbe che il Fatto obiettasse: «Hai visto che hanno fatto ad Anna Maria Greco?». Invece, la replica è: «Il trattamento Boffo?». Mauro: «Certo. Quello che ha colpito Mesiano. E poi l’avvertimento a Fini, con la campagna su Montecarlo». Lasciamo Mesiano, che è il giudice con i calzini azzurri e veniamo a Fini. C’è in Mauro tutto il livore di chi, digrignando, chiama «avvertimento» un’inchiesta giornalistica che il suo quotidiano si sogna. Dopo avere sguinzagliato i suoi per trovare un qualsiasi difetto nell’indagine del Giornale, tornati con le pive nel sacco, invece di fare chapeau, usa il linguaggio della malavita. La successiva frase eziesca, è da sbellicarsi: «L’avvertimento dei giornali del premier agli avversari è: attento, ora rovistiamo nel tuo letto. La tua vita privata verrà messa a soqquadro». La battuta è rivolta a noi, ma è l’autoritratto del giornalismo mauresco che ha fatto di Repubblica un foglio maniaco. Vedi, Ezio, la differenza tra noi è questa: tu attacchi per primo e solo se un pm ti passa le carte; il Giornale, invece, si procura da sé la storia e le prove e si limita a reagire. A chi? Ai falsi moralisti che si impancano sotto i riflettori e peccano nell’ombra. Tra questi, tu primeggi.

Con che coraggio dici che siamo noi a entrare nelle camere da letto (Montecarlo è un appartamento) quando il tuo giornale campa da anni sulle presunte caldane del Cav, della cricca, dei preti, di povere criste che cercano di sbarcare il lunario? Sei il classico bue che dà del cornuto all’asino.

Mauro - 62 anni, dunque adulto da tempo - adora rinfacciare agli altri le debolezze di cui è intessuto. Anni fa accusò Rai e Mediaset di accordarsi anticipatamente sui grossi fatti da trasmettere, a scapito della sana concorrenza e con il fine di favorire le tv del Cav. Nella circostanza, Ezio indossò i panni dell’onest’uomo indignato. Invece, era già reduce da un imbroglio analogo. Nel 1992, da direttore della Stampa fu proprio lui a proporre ai suoi parigrado del Corsera, Paolo Mieli, e di Repubblica, Eugenio Scalfari, un patto di consultazione permanente. Il trio si adunava in conciliaboli telefonici in viva voce per accordarsi sui titoli di apertura e le notizie scomode da confinare nel ventre del giornale. Un modo per non farsi concorrenza, coprirsi l’uno con l’altro, tenersi comodamente la poltrona e impiparsene dei lettori.

Ezio, cuneese, si atteggia a vecchio Piemonte con un odio cartaginese per gli evasori fiscali. Conviene perciò ripetere la vecchia storia del suo attico romano. Repubblica attaccò Alberto Grotti, ex vicepresidente dell’Eni, implicato in Tangentopoli. Grotti querelò e per racimolare i soldi della causa mise in vendita il suo attico. Se lo aggiudicò Ezio per 2,1 miliardi di vecchie lire. Così, curiosamente, Grotti ebbe dal direttore di Repubblica il liquido per citare la medesima.

Nell’ora del saldo però, Mauro pretese di pagare in nero 850 milioni che consegnò al commercialista del venditore. Più tardi, Grotti sostenne di non averli mai più visti e chiamò in giudizio il professionista. Così, la presunta evasione di Ezio divenne di dominio pubblico. E la sua moralità andò a farsi friggere.

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