«MAFALDA» MERITAVA PIÙ ASCOLTI

Continua il periodo poco felice della fiction targata Mediaset, che anche in occasione dell'ultima arrivata Mafalda di Savoia (martedì e mercoledì su Canale 5, ore 21.30) ha raggranellato un pubblico inferiore alle aspettative. Almeno in questa circostanza, però, il tiepido riscontro degli spettatori è decisamente sindacabile, perché Mafalda è apparso un lavoro ben fatto, se non altro in rapporto a quanto passa il convento delle nostre fiction e di quelle storiche in particolare. Al centro del racconto il triste destino della principessa Mafalda, figlia di Vittorio Emanuele III, morta nel campo di concentramento di Buchenwald nell'agosto del 1944 pagando le colpe dell'ambiguo comportamento dei Savoia a cavallo dell'armistizio dell'8 settembre del 1943. La sceneggiatura ha scelto di partire mostrando subito la morte della principessa, procedendo con il passo del gambero mediante l'uso un po' inflazionato del flash back, ma poi ha saputo condurre tutte le tappe del racconto con polso fermo e sopracciglio asciutto, senza indulgere al sentimentalismo e scegliendo opportunamente di dare più spazio alla parte storica che alla cronaca privata, pur potenzialmente ricca di spunti visto il contrastato matrimonio di Mafalda con Filippo d'Assia. Ne è uscita una fiction calibratamente sobria, soprattutto nella prima parte, condotta con passo coinvolgente ma senza mai dare l'impressione di voler uscire dal seminato storico con provocazioni ad effetto o anche solo con forzature stilistiche o qualche facile concessione al pedaggio della retorica, pericolo costante in questo genere di telefilm. La sostanziale fedeltà alle vicende storiche parrebbe rafforzata (almeno per il momento e salvo colpi di coda polemici) dall'assenza delle consuete proteste che di solito accompagnano per partito preso la messa in onda di qualsiasi fiction che affronti argomenti legati al nostro passato più o meno recente. Se finora non si sono levate critiche di lesa maestà storica, di revisionismo o di eccesso di «libera interpretazione», significa che lo svolgimento della narrazione non ha offerto particolari appigli per eventuali contestazioni. Di buona fattura anche il livello interpretativo, con una Stefania Rocca che aveva la faccia giusta e i toni appropriati per dare vita alla dolente parabola umana della sfortunata principessa, e un Franco Castellano che si conferma ogni volta di più come un talento sempre affidabile ed efficace.

In definitiva, gli assenti questa volta hanno avuto torto, e i telespettatori che hanno voltato le spalle a Mafalda hanno perso una buona occasione per saperne un po' di più su una vicenda umana che ha intersecato i destini collettivi della nostra nazione in un momento delicato della storia italiana.

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