Mafia, ecco la «patacca» per incastrare Berlusconi

Per risalire alla genesi della «patacca mafiosa» costruita a tavolino per dare del mandante stragista a Silvio Berlusconi, occorre una premessa a tema: uno dei passepartout utilizzati dalle procure siciliane per provare che il Cavaliere era collegato a Cosa nostra, è da sempre l’ex colonnello del Ros, Mario Mori. Quello, per intendersi, che dopo aver catturato Totò Riina è finito prima sotto processo per la mancata perquisizione al suo covo (è stato assolto) poi per la mancata cattura di Bernardo Provenzano (è in corso il dibattimento) quindi per la presunta trattativa fra Stato e antistato mafioso per il tramite dell’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino. Un eroe, Mori, fatto passare per colluso. E in questa veste ignominiosa accostato al premier che si sarebbe affidato a lui per ottenere un link con la mafia e spiccare il volo coi soldi sporchi della criminalità siciliana. Secondo questa mirabolante tesi, per ringraziarlo dei servigi resi in anni e anni di integerrima fedeltà, una volta diventato premier, Berlusconi lo l’avrebbe nominato direttore dei servizi segreti civili (Sisde).
Per provare questo patto d’acciaio, le procure che hanno indagato per anni sui mandanti occulti delle stragi arrivando a incriminare Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri - entrambi sono stati prosciolti e archiviati nel maggio del 2002 - si sarebbero basate su un atto clamorosamente falso. Ovvero, la celeberrima informativa Dia del 10 marzo 1999 nella quale si specificava che il fratello di Mario Mori era socio di Paolo Berlusconi (fratello di Silvio) nella società Coge che aveva interessi in Sicilia. A dieci anni di distanza, però, si scopre che si tratta di patacca. Agli avvocati dell’ex colonnello Mario Mori che chiedevano spiegazioni al riguardo, la Dia fa sapere ufficialmente di non avere mai comunicato, dicasi mai, nulla del genere ai pm. E aggiunge di aver specificato già all’epoca quello che la difesa del generale Mori è stata costretta a ribadire di recente: e cioè che il Giorgio Mori, socio della società Coge (citato nell’informativa finita nel processo a Berlusconi e Dell’Utri) non c’entrava assolutamente nulla con il fratello dell’ex colonnello Mori, che di nome fa Alberto. Possibile? Pare proprio di sì. L’8 ottobre scorso, la Dia, spedisce questo fax all’avvocato Piero Milio, difensore di Mori: «A seguito di accertamenti disposti in data 10.3.1999 dalla Dda di Caltanissetta, agli atti di questa Direzione risulta identificato tale Mori Giorgio, nato a Parma il 22.03.1941, socio della Coge Costruzione Generali spa. Non risulta che il predetto Mori Giorgio sia mai stato indicato quale fratello del generale Mario Mori, né che lo stesso sia stato oggetto di errore materiale e quindi di successiva rettifica da parte di questa direzione». Mai stato indicato? Non è così. L’asserito legame di parentela Mori-Berlusconi viene dato per scontato dai pm di Caltanissetta proprio sulla base di quanto la Dia oggi giura non aver mai dichiarato. Prendiamo la richiesta di archiviazione. Pagina 15, dodicesima riga: «... che poi dal legame parentale tra il generale Mori e tale Giorgio Mori, inserito nella compagine amministrata dalla società Coge spa, quest’ultima riconducibile a Paolo Berlusconi, si possa ipotizzare l’esistenza di un canale che autorizzerebbe a ritenere che gli ufficiali del Ros siano stati interfaccia degli odierni indagati, è puro arbitrio argomentativo». Come dire: il legame parentale c’è, è certo, ma non è sufficiente a dimostrare che Mori e il Ros fossero il braccio armato di Berlusconi e Dell’Utri. Si faceva così tanto affidamento ai contenuti (falsi) di quell’informativa, che anche nel decreto di archiviazione del gip di Caltanissetta, la «patacca» viene presa per oro colato, associata alla vicenda oscura del papello che vede ovviamente Mori protagonista, e riproposta pari pari a pagina 76. «Sempre tra i soci della Coge - scrive il giudice Giovambattista Tona - emergeva anche tale Giorgio Mori. Il pm nella sua richiesta di archiviazione segnala un legame parentale di costui con il generale Mori, uno dei protagonisti della trattativa con Ciancimino all’epoca delle stragi, ma conclude condivisibilmente che il collegamento non è sufficiente a prefigurare che l’alto ufficiale dell’Arma potesse aver avuto contatti con Berlusconi e Dell’Utri e quindi potesse essere stato “ambasciatore” di costoro nel rapportarsi con gli uomini di Cosa nostra». Come dimostrato prima da Mario Mori al processo sui presunti favoritismi e ora dalla Dia, quel collegamento non è mai esistito ma qualcuno ha lasciato intendere che fosse invece riscontrato. Il problema è capire chi. Lo si potrà scoprire, forse, quando le querele del generale Mario Mori al quotidiano L’Unità (che il 15 settembre rilanciava goffamente la patacca) faranno il loro corso, di pari passo a iniziative legali nei confronti di coloro che hanno sottoscritto il falso, attribuendolo alla Dia, per indagare all’infinito sul duo Berlusconi-Dell’Utri. Ma c’è un’altra clamorosa «patacca» che è stata confezionata per dimostrare l’indimostrabile collegamento Berlusconi-Mori. È quella che riguarda ancora questo benedetto fratello dell’ex ufficiale del Ros che secondo i teoremi siciliani era in rapporti con la Fininvest dopo il 1991, guarda caso nel periodo delle stragi di Falcone e Borsellino. Indizio suggestivo. Collante formidabile per tratteggiare l’identikit del Cavaliere quale mandante occulto delle bombe del ’92. Peccato, però, che Alberto Mori con Fininvest ci azzecca poco. La documentazione depositata nei processi rivela che oltre a non esser mai stato socio nella Coge di Paolo Berlusconi, Alberto Mori (e non Giorgio) ha lavorato pochissimo tempo per il gruppo Berlusconi. Dopo aver lasciato i carabinieri nel 1981, Alberto Mori viene assunto alla Standa, di proprietà della Montedison, dove resta otto anni, prima di essere confermato dai nuovi arrivati sul finire del 1989. Nel 1991 lascia l’incarico per Roma in un istituto di vigilanza privata.

Se sfogliate l’archivio dell’Unità scoprirete, invece, che è dal 1991 che Alberto o Giorgio Mori (per il quotidiano fondato da Antonio Gramsci fa lo stesso) è al servizio delle aziende del Cavaliere. Di Mori in Mori, la patacca è servita.

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