Studio medico della periferia milanese. Palazzo anonimo anni Cinquanta, vetri smerigliati, marmo verde striato sul pavimento e alle pareti. Sala daspetto: due sedie di plastica trasparente, tavolino in formica, tronchetto della felicità, attaccapanni con felpa di bambino dimenticata. Due persone in attesa di essere ricevute. Una donna sulla quarantina spippola sui tasti del cellulare. Frenetica manda e riceve sms. Si sente il rumore delle unghie laccate sulla plastica. Di fronte a lei un signore in giacca blu e cravatta bordeaux legge le mail sul Blackberry: anche lui spippola sui tasti con la penna elettronica. Non stacca lo sguardo dal monitor, ogni tanto strizza gli occhi, forse è un po presbite.
Muri bianchi tinti di fresco, asettici e apparentemente igienici. In una cornice Ikea cè un testo scritto fitto fitto con un titolo grande in rosso: Leggere. Avvicinandosi si riesce a decifrare le parole.
È una frase tratta da Se una notte dinverno un viaggiatore di Italo Calvino. È una pubblicità della casa editrice Einaudi.
Leggere? Magari questestate.
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