LItalia peggiore è anche quella che scherza con la democrazia. Lopposizione, mai così divisa come oggi su leadership, strategie e programma di governo, continua imperterrita a non voler ammettere la realtà di un esecutivo che ha i numeri per governare: fino a 321 voti alla Camera, al Senato ampiamente oltre quota 162 (maggioranza assoluta) tanto che martedì Pd e Idv hanno rinunciato alla conta.
Berlusconi ha incassato finora 44 voti di fiducia, quasi uno al mese. Al debutto nel maggio 2008 lesecutivo poteva contare su 335 sì e 275 no alla Camera e su 173 voti a favore e 133 contrari al Senato. Prima del voto di mercoledì lesecutivo aveva chiesto ed ottenuto la fiducia alla Camera il 24 maggio scorso (313 favorevoli e 291 contrari) sul famigerato decreto Omnibus, e prima ancora allinizio di marzo sul decreto legge per il federalismo (314 a 291) fino a risalire al 309 a 287 sul Milleproroghe. A Palazzo Madama, il 15 febbraio scorso, i sì furono 158, i no 136. Mentre il 14 dicembre 2010, nel giorno del giudizio finale, i sì furono 162 e i no 135 (alla Camera finì 314 a 311).
Nonostante la matematica non possa lasciar spazio alle opinioni, il leader democratico Pier Luigi Bersani parla di «numeri raccattati per difendersi dalla realtà» e di «una golden share» in mano allex Idv Domenico Scilipoti, fingendo di ignorare che ci sono più di 25 parlamentari di differenza alla Camera. Il lugubre auspicio, che fa pendant con laltrettanto funerea campagna elettorale «Oltre», è che il governo è in un «tramonto lento ed estenuato che finirà prima del 2013 a causa di uno sgretolamento interno». Nella singolare concezione della democrazia parlamentare di Anna Finocchiaro tutto fa brodo: persino leterogenea maggioranza di italiani che ha votato i referendum su acqua, nucleare e legittimo impedimento (e che, almeno sullacqua, si è già pentita viste le conseguenze su bollette e investimenti) è il chiaro segnale che «il centrodestra è stata battuto nel Paese, ma resiste in questo fortilizio». La dichiarazione più divertente è quella di Enrico Letta, che ieri allUnità lha sparata grossa, come quei giocatori di calcio invidiosi del collega che ha azzeccato il tiro della domenica: «I 317 sì li hanno presi solo una volta. Se si andasse a votazioni continue, non reggerebbero». Come dire, se ci provi altre mille volte, non segni. Stupenda... Sogna anche il verde Angelo Bonelli, desideroso di tornare alle urne il prima possibile per incassare il bonus referendario: «È una coalizione senza quadra e ormai in frantumi».
Lunico vagamente realista è Antonio Di Pietro, che parla di «maggioranza di carta che si regge sul peculato politico» perché ha capito che la legislatura arriverà alla fine». Daltronde, se anche il Corriere della Sera con Massimo Franco deve arrampicarsi sugli specchi del paradosso parlando di «maggioranza parlamentare assoluta e coalizione politica precaria», il segnale è chiaro. Si scommette «sul logoramento interno (e inesorabile per il notista politico di via Solferino) del governo ben prima del 2013 per mano della Lega, non certo «per la pressione delle opposizioni, incapaci di sfiduciarlo». Ma a quanto pare la Lega non ha alcuna intenzione di tirare ancora la corda.
Chi frigge è il Terzo polo, che sperava di far pesare il suo peso piuma per convincere il Cavaliere a passare la mano. «È un esecutivo paralizzato, non si salverà aggiungendo posti a chi ha fame di incarichi. Noi di fame non ne abbiamo...», dice il leader Udc come la volpe davanti al grappolo duva. Il gatto della coppia di furbacchioni è Gianfranco Fini, che a furia di menare gramo in casa altrui («Il governo collasserà allimprovviso, come un mobile pieno di termiti») si ritrova con un inutile partito dello zero virgola da cui presto leveranno le tende anche Adolfo Urso e Andrea Ronchi. Lo strappo di Fli e quella mossa da kamikaze mimata in piena guerra fredda al capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto, che ieri ha ricordato lepisodio al Foglio («Si aprì la giacca allargandola con le mani.
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