Magistrati pazzi per la P3 Indagato pure Caliendo Berlusconi: fiducia in lui

RomaAvanti un altro. Il senatore del Pdl Giacomo Caliendo, sottosegretario al ministero della Giustizia, è indagato dalla procura di Roma per violazione della legge Anselmi contro le associazioni segrete e associazione per delinquere. Anche lui, secondo la procura capitolina, avrebbe insomma fatto parte della cosiddetta «P3». A coinvolgerlo intercettazioni con altri indagati che, secondo gli inquirenti, lascerebbero ipotizzare un suo ruolo in alcuni degli episodi ricostruiti dall’indagine. Tra questi, una delle presunte riunioni a casa del coordinatore del Pdl Denis Verdini, quella del 23 settembre scorso. Tra gli invitati, c’erano i tre arrestati: Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino. Presenti anche il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri e due toghe, Antonio Martone e Arcibaldo Miller, oltre al padrone di casa.
In quell’incontro, che per Verdini fu solo un’occasione conviviale come le altre centinaia organizzate nella casa di piazza dell’Ara Coeli, secondo gli inquirenti si studiava invece una strategia per «influenzare» positivamente il giudizio della Corte costituzionale sul Lodo Alfano. Che invece, come noto, venne bocciato dalla Consulta. Ma Caliendo, secondo i pm romani, sarebbe stato coinvolto dai «Carbonari» anche nelle chiacchiere relative alla nomina di Alfonso Marra a capo della Corte d’appello di Milano, nel (fallito) tentativo di inviare gli ispettori del ministero della Giustizia a Milano, come «rappresaglia» per la mancata riammissione della lista Formigoni alle elezioni regionali e nelle manovre (fallite anche queste) per favorire il ricorso in Cassazione presentato dall’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, raggiunto a novembre da una richiesta d’autorizzazione d’arresto inviata alla Camera da un gip di Napoli.
Accuse, tutte, che Caliendo respinge al mittente: «Non ho mai contattato né fatto elenchi di giudici della Consulta favorevoli o contrari al Lodo Alfano», spiega alle agenzie in serata. Raccontando che all’incontro a casa Verdini lui c’è stato, ma «solo per una mezz’ora», e che il tema del Lodo Alfano al vaglio della Consulta non venne mai toccato. «Solo successivamente - dice il sottosegretario - ho appreso che nel corso di quel pranzo si era parlato anche di questo». Caliendo si presenterà in procura nei prossimi giorni, e ha già chiesto ieri mattina al suo avvocato di manifestare la sua intenzione di farsi interrogare dai pm romani Capaldo e Sabelli.
Ma la spallata giudiziaria che torna a colpire l’esecutivo innesca la replica immediata del premier, Silvio Berlusconi, che incontra il sottosegretario poco dopo la diffusione della notizia della sua iscrizione nel registro degli indagati e gli chiede di «continuare a lavorare con l’impegno fin qui profuso», ribadendogli la sua «piena fiducia».
«Fiducia e solidarietà» che Caliendo incassa anche dal Guardasigilli Angelino Alfano, che già l’aveva difeso lo scorso 21 luglio nel question time a Montecitorio, replicando a un’interrogazione dell’Italia dei Valori (che ieri ha ribadito la richiesta di dimissioni per Caliendo) sul coinvolgimento del sottosegretario nell’inchiesta romana. Nuova bordata dal finiano di ferro Fabio Granata: «Se chiedo le dimissioni di Caliendo? È ovvio, è ovvio».

E mentre anche il Pd ricorda di aver chiesto «da tempo» le dimissioni, entra nel merito delle contestazioni per la «a dir poco sorprendente» iscrizione nel registro degli indagati del sottosegretario l’avvocato-deputato del Pdl Niccolò Ghedini. Secondo il quale «dal contenuto degli atti appare evidente che nessuna responsabilità può essergli ascritta» e dunque «è auspicabile che si pervenga quindi a una immediata archiviazione».

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