Roma - La procura di Bari gestita da Antonio Laudati come un nido di vipere, in cui il capo fa le scarpe ai sostituti per il «caso Tarantini», i pm litigano tra loro e s’incrociano intrighi, sospetti e rancori.
Di fronte a questa ricostruzione la pm Eugenia Pontassuglia, cotitolare dell’inchiesta sulle escort a Palazzo Grazioli (chiusa il 15 settembre con 8 indagati e 28 capi d’accusa), dice: «Non ci sto».
E, smontando le accuse dell’ex collega Giuseppe Scelsi (ora sostituto Pg a Bari), si schiera al fianco sia del capo, indagato dalla procura di Lecce e oggi chiamato di fronte al Csm, sia del pm Ciro Angelillis. «Con il collega - afferma - ho gestito l’intera indagine condividendo ogni scelta, sia sotto il profilo investigativo che giuridico». Riferendosi all’interrogatorio dei Pm partenopei e salentini del 17 settembre, i cui verbali sono finiti sui giornali, aggiunge: «Mai, in nessun passaggio, ho messo in discussione l’operato del procuratore Laudati e quello del collega Angelillis, così come, invece, appare a chi, non leggendo l’intero verbale, si affida a ciò che viene pubblicato».
Le accuse sono gravi: aver ritardato le indagini e impedito la diffusione di intercettazioni scomode, per favorire il premier Silvio Berlusconi, su input dell’ex Guardasigilli Angelino Alfano. Nel mirino di Scelsi, che dopo un esposto al Csm ha ripetuto la sua versione ai pm di Lecce e Napoli, è finito innanzitutto Laudati, ma anche Angelillis, presentato come molto vicino al capo, quasi esecutore dei suoi suggerimenti.
La Pontassuglia, che Laudati affiancò nell’inchiesta a Scelsi insieme a Angelillis dopo il suo insediamento a settembre 2009, non vuole fare da sponda alle accuse. E ritiene «doverosi» dei chiarimenti sui verbali, che dovevano «rimanere segreti». Creano «equivoci in un’inchiesta delicatissima» e «false interpretazioni» dei fatti raccontati, dice, con frasi «estrapolate dal contesto». E sottolinea che la deposizione di 4 ore «non è stata registrata», è stata sintetizzata in «sole» 6 pagine e senza usare la formula «domanda e risposta».
La sera prima anche Angelillis aveva avvertito: «I verbali e le registrazioni sonore degli interrogatori di Tarantini documentano ampiamente il loro svolgimento e smentiscono inconfutabilmente ogni illazione maliziosa».
Il pm si riferiva, in particolare, alle dichiarazioni di Scelsi sul fatto che avrebbe suggerito a Tarantini, in un interrogatorio, di parlare di un «complotto mediatico-politico-giudiziario» collegato a Massimo D’Alema e dei legami del faccendiere con il leader politico. E anche sui dubbi che Angelillis avrebbe espresso, dopo una ricerca giurisprudenziale, sull’ipotesi di contestare nell’inchiesta il reato di prostituzione. Perplessità che, dice Scelsi, «furono rappresentate anche alla collega Pontassuglia, ma sia io che lei ritenemmo necessario approfondire il tema attendendo di avere il quadro completo dell’indagine».
Ora Angelillis precisa che non c’è nulla di strano: «La contestazione di una ipotesi di reato di tale gravità, che ho contribuito in modo decisivo a formulare, non può prescindere dall’approfondimento in ordine alla effettiva sostenibilità giuridica dell’accusa che rientra tra i doveri di ogni pm».
Nei confronti della Procura di Bari siamo ormai al «processo di Kafka», attaccano in una nota Fabrizio Cicchitto, Maurizio Gasparri, Gaetano Quagliariello e Massimo Corsaro, capigruppo e vice del Pdl di Camera e Senato.
Uno di loro è proprio quel Lorenzo Nicastro, assessore regionale Idv dopo aver indagato sul governatore Raffaele Fitto, che ieri è andato in Procura per esprimere solidarietà agli ex colleghi.
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