
Criticare la politica di Israele è legittimo, a patto di ricordare il 7 ottobre e la natura terroristica di Hamas. Non è legittimo censurare gli israeliani che difendono il proprio Paese o si rifiutano di condannarlo. È pura discriminazione e la discriminazione è l'anticamera del razzismo.
Manca un giorno all'inaugurazione della Mostra del cinema di Venezia, con La gloria, il nuovo film di Paolo Sorrentino. I Pro Pal sono già in azione. Il collettivo Venice4Palestine, composto da artisti e attivisti, ha inviato una lettera alla Biennale, venerdì scorso, in cui si chiedeva alla istituzione di condannare esplicitamente Israele. Tra i firmatari, Carolina Crescentini, Serena Dandini, Fiorella Mannoia, Gabriele Muccino, Alba e Alice Rohrwacher, Claudio Santamaria, Toni Servillo, Valeria Golino, Matteo Garrone, Roger Waters e moltissimi altri.
La richiesta è bizzarra. La Biennale organizza una Mostra internazionale d'arte cinematografica, non si vede a quale titolo dovrebbe pronunciarsi su temi di politica estera. Gentile la risposta: "In merito alla vostra lettera aperta sulla Palestina, ricordiamo che la Biennale e la Mostra del cinema sono sempre stati, nella loro storia, luoghi di confronto aperti e sensibili a tutte le questioni più urgenti della società e nel mondo". In una manifestazione così tocca prendere posizione, semmai, alle opere. Segnaliamo fin da ora che la tragedia di Gaza è raccontata da uno dei film più attesi tra quelli in concorso, The Voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania.
Il secondo passo del collettivo appare molto grave. Venice4Palestine chiede il ritiro dell'invito agli attori Gal Gadot e Gerard Butler, accusati di sostenere pubblicamente e attivamente le politiche israeliane su Gaza. Non solo la Biennale dovrebbe escludere i due interpreti di In the Hand of Dante di Julian Schnabel, ma anche offrire visibilità a una delegazione di artisti palestinesi, invitata a sfilare sul red carpet con la bandiera palestinese, trasformando così una mostra d'arte in luogo della propaganda. C'è da chiedersi se attori e registi firmatari della prima lettera siano d'accordo anche sulla richiesta liberticida di escludere due colleghi dalla manifestazione. Sarebbe un'orribile testimonianza di intolleranza e di conformismo.
Gal Gadot, l'ex Wonder Woman, vive in Israele con la famiglia e ha fatto il servizio militare obbligatorio. È "colpevole" di non aver mai fatto mistero delle sue idee. Gerard Butler, invece, è stato uno dei protagonisti di una raccolta fondi (alla fine sono stati 60 milioni di dollari) a favore dell'esercito israeliano. Insieme ad artisti come Gene Simmons dei Kiss, Pharrell Williams, Ashton Kutcher, Andy Garcia, ha partecipato al Friends Of The Israeli Defence Forces Western Region Gala. La festa però non si è svolta ieri. Si è tenuta nel 2018, un'altra epoca visto quello che è seguito. Comunque, gli attori non avevano confermato la loro presenza e, forse, non ci sarebbero stati a prescindere dalle polemiche. Il che non attenua la gravità della richiesta, ma la ammanta di grottesco. Del resto, la manifestazione che vuole imbavagliare Gadot e Butler è sostenuta dalla rete... Artisti #NoBavaglio.
Venezia, per dieci giorni, è una vetrina mondiale. Per questo le associazioni Pro Pal sono in fibrillazione. Non sorprende l'annuncio di una manifestazione pro Gaza, che si svolgerà sabato 30 agosto, da Santa Maria Elisabetta alle vicinanze del Palazzo del cinema. "Stop al genocidio" è lo slogan del corteo promossa dai centri sociali del nordest e dalla sezione 7 Martiri dell'Anpi veneziana, con l'adesione di centinaia di collettivi e gruppi politici, e il sostegno di realtà legate al mondo del cinema, nonché di attori, registi, sceneggiatori e addetti ai lavori (quelli che hanno firmato la lettera di Venice4Palestine). Come previsto da giorni, il cuore della Mostra sarà presidiato dalle forze dell'ordine. Senza zone rosse ma con un dispiegamento di agenti e militari superiore al recente passato.
La rassegna veneziana è una Mostra d'arte, noi crediamo nell'arte come metodo di riflessione, illuminazione, confronto anche duro ma corretto.
Le epurazioni non appartengono alla cultura, sono la negazione del dibattito e del pensiero. Qui la questione è un'altra: gli artisti che firmano appelli contro i colleghi ci credono davvero? Il rischio è che sia (o che appaia, non fa molta differenza) tutta pubblicità.