
Gentile direttore Feltri, sono un ragazzo di 16 anni di Livorno. Sto scrivendo un libro che si intitola L'Italia che sogno; in questo libro affronto vari argomenti, come il premierato, il Parlamento, eccetera. Arrivato al capitolo sull'immigrazione mi viene in mente una riflessione. Su 54 Stati africani solo 1 è sviluppato e ricco, il Sudafrica. Per evitare che gli immigrati vengano qua, non sarebbe più giusto spartire i restanti 53 Stati con i Paesi d'Europa più sviluppati: Italia, Regno Unito, Germania e Francia; e con il Sudafrica. Gli Stati africani sarebbero uno Stato ultrafederato, con bandiere e Governi; ma sarebbero parte dello Stato europeo. Lo Stato europeo sarebbe obbligato a migliorare le condizioni di vita dello Stato africano. Gli abitanti non verrebbero in Europa, ma sarebbero cittadini. In questo modo potremmo aiutarli, ma a casa loro. Sono curioso di sapere il suo pensiero.
Nicola Taurasi
Caro Nicola,
ti ringrazio per la lettera che hai inviato, così come ti faccio i miei complimenti più sinceri per il progetto che stai portando avanti: scrivere un libro a sedici anni non è cosa da poco. Anzi, è cosa rara. Significa che hai una testa che funziona, che ti poni domande e che vuoi lasciare un segno in un tempo in cui i tuoi coetanei sono più occupati a scrollare video che a riflettere sul destino dell'Italia e del mondo. Solo per questo, ti stringerei la mano. Hai immaginato un'idea tanto ardita quanto improbabile: prendere i 50 Stati africani oggi sottosviluppati e farli diventare una sorta di protettorato federale sotto l'ala dell'Europa più ricca e magari anche del Sudafrica. Il tutto, con lo scopo di «aiutarli a casa loro», evitando quindi le ondate migratorie. Lo capisco, e la buona fede che trasuda dalle tue parole è più che evidente. C'è in te, ed è bello vederlo, il desiderio di risolvere, non solo di commentare. C'è un animo costruttivo, non distruttivo. E questo ti fa onore.
Tuttavia, permettimi con la franchezza che mi caratterizza di mostrarti perché questa tua idea, per quanto nata da uno slancio generoso, non è realizzabile. E, ancora di più, perché forse parte da una visione che andrebbe rivista radicalmente. Partiamo da un punto: tenere insieme l'Europa è già un miracolo. Parliamo di Paesi che condividono secoli di storia intrecciata, una matrice giudaico-cristiana comune, sistemi politici relativamente affini, eppure basta guardare la paralisi dell'Unione Europea ogni volta che bisogna decidere qualcosa di concreto. Siamo pieni di divergenze: culturali, linguistiche, economiche, giuridiche. Ora, immaginare di federalizzare anche 50 Stati africani, con tradizioni, lingue, tribù, conflitti interni e storie totalmente diverse dalle nostre, è come voler aggiungere un'altra decina di giocolieri su una bicicletta già traballante. È impossibile. E verrebbe chiamato colonialismo. Qualcosa che appartiene ad un'altra epoca.
Ma il punto vero non è tecnico. È etico e culturale. Vedi, Nicola, tu come tanti sembri dare per scontato che spetti all'Europa salvare l'Africa. Come se gli africani fossero eternamente incapaci di provvedere a sé stessi. Come se senza l'aiuto dell'uomo bianco non potessero mai emanciparsi. È un'idea che, pur partendo da intenzioni compassionevoli, è figlia di una forma moderna di paternalismo, che alla lunga umilia i popoli invece di liberarli. No, non è nostra responsabilità trasformare l'Africa. Non è nostro compito sviluppare ciò che non vuole svilupparsi da solo. Non perché dobbiamo voltare le spalle, ma perché non si cambia una civiltà da fuori. Si cambia da dentro. Il vero punto è che in gran parte del continente africano manca una cultura del lavoro, del merito, della responsabilità individuale. Manca pure la nozione di l'idea di cosa sia il diritto. È questo un fatto. Certo, ci sono colpe storiche: colonialismo, sfruttamento, guerre importate. Ma c'è anche una tendenza molto comoda a dare sempre la colpa a qualcun altro: l'Occidente, l'Onu, le multinazionali, le frontiere, il clima. Perché così è tanto comodo.
E mentre si piange, non si costruisce.
Non si costruisce una Nazione sull'assistenzialismo. Non si cresce se si pensa che qualcun altro debba farlo al posto tuo. Ed è per questo che l'idea di inglobare l'Africa in una macro-Europa non solo è impraticabile, ma persino nociva: perché continua a dire agli africani non siete capaci, ci pensiamo noi. No, Nicola. Non funziona così. Se vogliamo davvero aiutare l'Africa e non semplicemente lavare le nostre coscienze dobbiamo lasciarla crescere, fallire, rialzarsi, imparare, come ogni popolo ha fatto. E dobbiamo pretendere che chi arriva qui, legalmente o meno, porti con sé quella fame di riscatto e quella voglia di lavorare che dovrebbe essere il motore di ogni migrazione sana. Non possiamo essere il pronto soccorso eterno del mondo.
Concludo con un pensiero per te: continua a pensare, a scrivere, a sognare un'Italia migliore. E anche un mondo migliore.
Ma ricordati che le soluzioni più giuste sono spesso anche le più semplici. Non servono imperi federali, basta un principio: ognuno si assuma la responsabilità del proprio destino. Noi, gli africani, e chiunque abbia il coraggio di vivere da uomo libero.