
L'ultima novità sulle pensioni sembra questa: me la pago io, con i miei soldi. Verrebbe da dire: che novità è? Tutti paghiamo la nostra pensione con i nostri soldi, cioè con i contributi obbligatori richiesti. Sì, ma in questo caso cioè secondo la proposta annunciata dal sottosegretario Claudio Durigon (nella foto) - non si tratta dei contributi, ma del salario. Cioè, mi pagherò la pensione con i soldi miei, accantonati per quella che qualcuno chiama liquidazione, che invece si chiama Tfr (Trattamento di fine rapporto). Questa sì che è una novità, sempre che gli annunci a mezzo stampa possano diventare norma di legge: cosa che allo stato è lecito dubitare. E in ogni caso dipenderà da come e quando. Però, se così fosse è curioso parlare di una cosa così delicata come la pensione, solo sulla base di annunci informali - non basterebbero più i contributi previdenziali: meglio rinunciare anche al salario, o almeno a quella quota (il Tfr rappresenta più o meno il 7% della retribuzione), accantonata e differita nel tempo.
Secondo le anticipazioni, lo scambio tra salario e pensione avverrebbe per coloro che vogliono ritirarsi prima del previsto, cioè a 64 anni, anche con soli 25 anni di contributi. Il Tfr quello già accantonato presso l'Inps dai lavoratori di aziende con più di 50 dipendenti che hanno scelto di non destinarlo ai fondi pensione sarebbe affidato all'Inps per pagare la pensione anticipata, integrando il minimo. Solo su base volontaria: cioè chi vuole sì, chi non vuole no.
L'ultima legge di Bilancio aveva già dato la possibilità ai lavoratori con montante pensionistico interamente contributivo di andare in pensione anticipatamente a 64 anni, con la possibilità di sommare la previdenza obbligatoria e complementare così da raggiungere la soglia di almeno 3 volte l'assegno minimo. Nel futuro immaginato da Durigon (e probabilmente da una parte del governo) la possibilità si dovrebbe estendere anche a chi viene dal sistema retributivo (cioè ha contributi antecedenti al 1996), ma non raggiunge la soglia minima per la pensione anticipata, fissata a tre volte l'assegno sociale (1.616 euro). Quindi, ricorrendo al Tfr potrebbe colmare la differenza e dunque maturare il diritto all'uscita.
Si tratterebbe di una scelta complicata da fare: decisivi saranno i dettagli, proprio dove, si sa, si nasconde il diavolo. Perché un Tfr congelato, e finalizzato ad anticipare l'incasso della pensione, impedirebbe, a esempio, la fruizione di quelle anticipazioni previste dalla legge. Se l'acquisto di una casa (prima casa, s'intende) è programmabile, l'anticipo per gravi motivi di salute, invece è tecnicamente imprevedibile, purtroppo. Quindi lo scambio riguarderebbe anche il proprio futuro sanitario. Un bell'azzardo.
Le tecnicalità non sarebbero semplici, così come le previsioni di spesa perchè ogni caso, è un caso a sé. A qualcuno basterebbero 100 euro per raggiungere la fatidica soglia dei 1.616 euro (sempre lordi, ovviamente), ad altri ne servirebbero 500. Ma non tutti hanno lo stesso Tfr accantonato. E quanti anni potranno essere coperti dal proprio Tfr, prima di gravare sulla collettività? Visto che Quota 103 non è stata gradita pochissimi vi hanno aderito, la gran parte ha deciso di continuare a lavorare, invece che inseguire un assegno di pensione in anticipo, sommando età anagrafica (62 anni) agli anni di contribuzione minima (41 anni) ecco dunque la nuova trovata per consentire agli italiani di andare in pensione in anticipo. Secondo un recente studio della Cna, l'Italia è il Paese in cui si lavora meno anni. Per la precisione, la durata media della vita lavorativa effettiva nel nostro Paese è di 32,8 anni.
Contro i 43,8 anni dell'Olanda, i 43 della Svezia, i 40 della Germania, i 37,2 della Francia. Ora basterebbero 25 anni per andare in pensione anticipata e tale media verrebbe ulteriormente abbassata. È questo che si vuole?