IL MAGISTRATO ANTI AL QAIDA 4 STEFANO DAMBRUOSO

«No, non mi aspettavo che Bin Laden si nascondesse in una villa fortificata alle porte della capitale del Pakistan». Stefano Dambruoso, il primo magistrato italiano che ha battuto la pista di Al Qaida ed è stato celebrato dai grandi giornali inglesi e americani, confessa il suo stupore: «Lo immaginavo in una situazione più defilata, ma questo non cambia il mio giudizio di fondo».
E quale è il suo punto di vista?
«Al Qaida, la terribile organizzazione che ha colpito gli Stati Uniti al cuore l’11 settembre, non esisteva più da tempo. Nel 2001 Bin Laden disponeva di basi strategiche e campi di addestramento in Afghanistan, dove faceva quel che voleva. Dal 2002-2003 non è più così, l’Afghanistan, pur con tutti i limiti che conosciamo, è stato riconquistato e sottratto alla morsa del terrorismo, Bin Laden era braccato».
Dunque, che cosa è oggi Al Qaida?
«Ripeto, al momento ha perso gran parte della forza di cui disponeva. Al Qaida oggi è un marchio, un punto di riferimento, un simbolo, ma i fili sono stati in gran parte tagliati».
Allora possiamo stare più tranquilli?
«Dobbiamo distinguere, senza allarmismi. Oggi un’operazione come quella condotta contro le Torri gemelle, con una cellula che parte da Amburgo e arriva a New York, sarebbe fantascienza. Ma purtroppo sono cresciuti tanti piccoli Bin Laden».
È il terrorismo fai da te?
«Ci sono tanti piccoli gruppi o gruppuscoli nella aree più infiammate del mondo; ma, soprattutto, oggi formare una cellula e colpire è operazione relativamente facile».
È quel che è accaduto a Milano il 12 ottobre nel 2009?
«Esatto. Il libico Mohamed Game si è formato su internet, ha messo insieme le informazioni basilari sugli esplosivi navigando sul web, poi si è presentato all’ingresso della caserma Perrucchetti e lì è saltato in aria. Gli è andata male, ma obiettivamente poteva finire in un altro modo. Con una strage».
Insomma, il rischio di un attentato non può essere eliminato?
«No, ci sono stati tre arresti anche nei giorni scorsi in Germania, poco prima che Bin Laden venisse eliminato. Anche in quel caso l’idea era quella di compiere un’azione clamorosa, durante l’Eurofestival di Düsseldorf».
Il terrore dei servizi segreti occidentali è che Al Qaida o chi per lei si impadronisca di una cosiddetta bomba sporca e poi la lanci contro qualche città.
«Non mitizziamo la bomba sporca che poi, inevitabilmente, evoca l’apocalisse nucleare».
D’accordo, ma a che cosa dobbiamo pensare in concreto?
«Negli ultimi cinque anni sono stati intercettati terroristi che parlavano di bomba sporca. Ma subito si è capito che non si riferivano al nucleare».
Ma allora, che cosa avevano in mente?
«Volevano avvelenare gli acquedotti di una città. Ecco, in quel caso la bomba sporca era il veleno nell’acqua che beviamo».
Dove?
«Diciamo che sono stati ascoltati da un’intelligence occidentale e bloccati subito, quando erano ancora in una fase progettuale. Certo, bombe sporche - nell’accezione più grande - e terrorismo “fai da te” sono un pericolo per la convivenza civile».
Oggi la minaccia terroristica arriva anche da Gheddafi.
«Se il leader libico dovesse rimanere in sella, l’opposizione potrebbe trovare riparo proprio sotto l’ombrello dell’integralismo religioso. L’integralismo cresce combattendo le dittature».


Se Gheddafi dovesse essere sconfitto?
«Potrebbero esserci infiltrazioni terroristiche nel Sahel, in quel territorio immenso che abbraccia il Senegal, la Mauritania, il Niger e lambisce i confini meridionali della Libia. Non dimentichiamo che già oggi Paesi come la Somalia sono fuori controllo e in balia di pulsioni estremistiche. Proprio come l’Afghanistan di dieci anni fa».

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