Il magistrato che difende Davide contro Golia

Milano «Ci daranno torto perché siamo piccoli», ha detto qualche giorno fa il titolare di Conto Tv, la piccola emittente andata all’attacco del colossale affare del calcio in televisione, ed in specifico dell’accordo da un miliardo e 149 milioni di euro tra Lega Calcio e Sky. Per conoscere la decisione del tribunale bisognerà attendere l’inizio della settimana prossima. Ma almeno di una cosa si può stare sicuri: non saranno le ridotte dimensioni di Conto Tv ad influenzare le decisioni del giudice chiamato a prendere la decisione. Perché la storia di Claudio Marangoni racconta di un giudice cui schierarsi dalla parte di Davide contro Golia non sembra aver mai fatto troppa paura. Anzi.
Cinquantaquattro anni, romano, sposato con la collega Orietta Miccichè, due figli, nessuna stranezza conosciuta: questo è il sommario identikit del magistrato Marangoni. Di sé, il giudice preferisce non parlare. Ma parlano per lui le sue sentenze. E qualcosa raccontano anche i colleghi: quelli che lo hanno conosciuto pretore in Sicilia, più di vent’anni fa. E quelli che lo hanno conosciuto quando è salito al nord, a Milano, prima come pm presso la pretura, poi come giudice della sezione civile. E che ne parlano come di uno che le carte se le legge fino in fondo, e che poi decide con equilibrio, senza furori ideologici ma senza timori reverenziali.
Di calcio se ne dovette occupare già molti anni fa, nell’estate del 1994, quando sul suo tavolo arrivò un esposto dei tifosi del Piacenza che parlava di una «torta» all’ultima giornata di campionato tra il Milan e la Reggina: tanti sospetti ma nessuna prova, indagine archiviata. Poi, passato al tribunale civile, arrivano una dopo l’altra cause delicate. Ed ecco le sue sentenze che spesso danno torto al più «robusto» dei contendenti: alla Mondadori e a Susanna Tamaro che accusavano di plagio il comico Daniele Luttazzi, alla Rizzoli e al Corriere che volevano pubblicare le lettere d’amore di Italo Calvino a Elsa de Giorgi, al Comune di Milano che aveva incautamente definito «etiope», nella didascalia di un opuscolo, un indipendista eritreo.

E infine - la più recente e importante delle sue sentenze - ancora al comune di Milano che rifiutava di iscrivere alle scuole dell’infanzia i figli degli immigrati clandestini. Il Comune ci rimase male: ma, dopo avere letto le motivazioni della sentenza, rinunciò all’appello.

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