«La magistratura rinunci a manie di onnipotenza»

Gennari: «La nostra corporazione vuole occuparsi di tutto»

da Milano

«Ci vuole una rivoluzione da parte di noi magistrati ordinari». Giuseppe Gennari, gip del caso Telecom e giudice del processo Parmalat, non ha paura di andare controcorrente: «Dobbiamo fare un passo indietro».
Lei parla da eretico, dottor Gennari.
«No, io svolgo un ragionamento antiideologico. La corporazione di cui faccio parte, non tutta per carità, ha preferito il potere: dunque la magistratura si occupa di tutto, ma proprio tutto il contenzioso, nel penale e nel civile. Si insegue la causa da quattro soldi, ma così, inevitabilmente, si perde di vista il processo che decide interessi enormi; ci si preoccupa del furtarello e si fa fatica a tener dietro a delitti gravissimi».
I giudici di pace?
«Diciamo la verità: sono stati tollerati, accettati con riserva per aiutare a spazzare l’enorme massa di contenzioso che si forma in continuazione. Loro, d’altra parte, si sentono una stampella della magistratura togata».
Ad errore si aggiunge errore?
«Secondo me, sì. C’è il tentativo di essere equiparati ad un’altra realtà. A mio parere il punto è dotarli di mezzi, risorse e autonomia perchè svolgano un’azione parallela ma distinta dalla nostra: nel penale e nel civile. Scusi il bisticcio, ma i due circuiti non devono entrare in cortocircuito. Bisogna dar loro una prospettiva di carriera, magari imparando da quel che fanno altri paesi della Ue».
Per esempio?
«La Gran Bretagna. Lì i magistrates’ courts sbrogliano il 95 per cento del carico penale e non appartengono alla corporazione dei judges. Sono un altro mondo, ma hanno una tradizione importante e un prestigio riconosciuto.

Da noi, invece, il provvisorio diventa definitivo e i confini non sono mai netti».
Anche in magistratura?
«Certo. Il giudice di pace dev’essere potenziato; il got, ovvero il giudice onorario, è un ibrido da superare. E dimenticare».

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