Emiliano: "Ilva, catastrofe giudiziaria mai vista". Ecco il pasticcio che ha invalidato il processo

Il governatore: "Mi chiedo cosa sarebbe accaduto se avesse riguardato la politica". Tre magistrati erano tra le parti civili

Emiliano: "Ilva, catastrofe giudiziaria mai vista". Ecco il pasticcio che ha invalidato il processo
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«Una catastrofe giudiziaria senza precedenti, mi chiedo cosa sarebbe accaduto se un evento del genere avesse riguardato la politica». Sul caso Ilva, le parole di Michele Emiliano rimbombano fragorose. Pure lui, ex giudice e soprattutto governatore pugliese, si è accorto che qualcosa non ha funzionato e ieri ha parlato di «una tragedia giudiziaria di un processo durato anni che è stato cancellato da un errore, che sia quello del primo grado o quello della Corte d'Appello».

Il riferimento è alla decisione della sezione distaccata a Taranto della Corte d'assise d'appello di Lecce che ha accolto le rimostranze che la difesa aveva presentato invano già nel 2014, quando aveva sollevato la questione della competenza territoriale in base dell'articolo 11 del codice di procedura penale, dal momento che erano stati ammessi come parte civile due giudici di pace e un giudice del Tribunale civile, circostanza che avrebbe dovuto spostare la competenza. Cosa inspiegabile per l'avvocato della difesa, Gian Domenico Caiazza, secondo cui «in 50 anni non esiste una sola sentenza di Cassazione che vada in senso contrario». Come se non bastasse, i legali avevano pure provato a ricusare il presidente della Corte perché abitava in una delle zone più colpite dal presunto disastro ambientale e quindi non avrebbe potuto decidere in totale serenità. All'epoca però anche questa questione era stata respinta dalla Cassazione.

Adesso, la Corte ha deciso che nel processo tre giudici del distretto non erano competenti in quanto parti civili. E anche se di questi uno aveva ritirato

la costituzione di parte civile e l'altro era andato in pensione, la Corte ha comunque optato per lo spostamento di competenza territoriale a Potenza.

Sentenza di primo grado annullata, dunque, quella che il 31 maggio 2021 si chiuse con 26 condanne a dirigenti e manager oltre ai due fratelli Riva e a politici come Vendola, e tutto da rifare. A meno che la procura della Repubblica di Taranto, una volta lette le motivazioni che saranno depositate entro 14 giorni, non decida di impugnare il verdetto in Corte di Cassazione. In tal caso, il processo potrebbe essere assegnato a un'altra sezione della Corte d'Assise d'Appello ma senza ripartire da zero. In caso contrario, invece, verrà appunto trasferito a Potenza e ripartirà dall'udienza preliminare. In quello che sembra più un gioco dell'oca che un processo lineare, la spada di Damocle della prescrizione è lì che incombe e che potrebbe cancellare buona parte dei reati contestati.

Il tutto mentre mancano pochi giorni alla scadenza delle manifestazioni di interesse per rilevare il colosso dell'acciaio italiano su cui incombono anche le mire del gigante giapponese Nippon Steel, quarto gruppo al mondo per la produzione dell'acciaio, che si aggiunge agli altri candidati che includono gli italiani Marcegaglia e Arvedi, l'ucraina Metinvest, i due gruppi indiani Vulcan Green Steel e Steel Mont e la canadese Stelco.

L'ex Ilva, ora Acciaierie d'Italia in amministrazione straordinaria, dal 31 luglio scorso è ufficialmente in vendita. La sfida sarà quella di risanare e far ripartire il colosso siderurgico la cui capacità industriale e produttiva è stata azzoppata in questi anni, causando pesanti perdite economiche quantificate dallo Svimez

in circa 17 miliardi tra il 2011 e il 2023 solo al Sud. Solo per fare un altro esempio, durante la gestione mista di Arcelor con Invitalia, lo Stato ha versato un miliardo di euro.

Ma questa è soltanto un'altra partita della lunga e incredibile storia dell'Ilva, acquistata nel 1995 dalla famiglia Riva. Una storia cominciata con l'inchiesta del 26 luglio 2012 per disastro ambientale e con il sequestro degli impianti dell'area a caldo e proseguita l'anno dopo con una sfilza di arresti e di sequestri di beni e di conti correnti. Poi arriva l'inizio dei commissariamenti e, nell'aprile 2014, la morte di Emilio Riva, dopo un anno di domiciliari. A gennaio 2015 l'azienda passa in amministrazione straordinaria. Inizia la diatriba tra la salvaguardia dei posti di lavoro e la tutela della salute collettiva. Con un decreto, il governo Monti autorizza la ripartenza della produzione dell'azienda, segue l'assegnazione al gruppo ArcelorMittal nel 2017.

Dopo quasi 4 anni di centinaia di udienze, deposizioni di testimoni, documenti, perizie e contro-perizie arriva il verdetto di primo grado. E ora, a distanza di altri tre anni, quello di secondo grado. In attesa del prossimo capitolo.

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