ll procuratore aggiunto dell'Antimafia Michele Prestipino lascia la toga

L'ex numero due della Dna indagato per rivelazione di segreto d'ufficio: tranquillo perché ho sempre fatto il mio dovere

ll procuratore aggiunto dell'Antimafia Michele Prestipino lascia la toga
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«Dopo oltre 40 anni di servizio, ormai vicino al limite massimo previsto dalla legge, è venuto il momento della pensione». L’ex numero due della Dna Michele Prestipino annuncia l’addio alla toga dopo l’indagine per rivelazione di segreto d’ufficio su alcune inchieste di mafia e ’ndrangheta legate al Ponte agli ex prefetti Gianni De Gennaro e Francesco Gratteri durante un pranzo.
«È una decisione che ho maturato da tempo e di cui erano a conoscenza tutti quelli che mi sono particolarmente vicini», dice invece l’ex procuratore di Roma, indagato dai pm di Caltanissetta che indagano sulle stragi di mafia del 1992 e che lo hanno intercettato per caso. «Ho sempre privilegiato i fatti alle parole e quindi, anche per coerenza a ciò, voglio solo limitarmi, con questo mio commiato, a ringraziare di cuore tutti quelli con cui, in questi lunghi anni, ho avuto l’onore di collaborare nello svolgimento di un lavoro che non è mai stato per me un semplice adempimento ad un dovere, ma sempre qualcosa di più», aggiunge il magistrato romano, che con Giuseppe Pignatone (anch’egli nel mirino della Procura di Caltanissetta) ha lavorato a Reggio Calabria e a Palermo.

I magistrati della Procura nissena, guidata da Maurizio De Lucia, erano sulle tracce dell’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, oggi presidente di Eurolink che con Webuild ha l’incarico di costruire il Ponte sullo Stretto. A lui e Gratteri, che per Eurolink è un consulente, Prestipino avrebbe dato informazioni su alcuni indagati che Gratteri avrebbe successivamente informato. Sull’ex prefetto, già ai Servizi e alla Dia, i pm sono arrivati dopo le accuse mosse da Gioacchino Genchi, il superperito dei telefonini, secondo cui a De Gennaro sarebbe legato l’ex capo della Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, considerato a capo del depistaggio sulla strage di Via D’Amelio dove morì Paolo Borsellino (che ha visto imputati anche tre poliziotti) attraverso il finto pentimento di Vincenzo Scarantino, che si sarebbe autoaccusato falsamente di aver compiuto la strage.

Secondo Genchi La Barbera aveva un comportamento spregiudicato, «per lui la legge era un accessorio, come lo la pistola o l’auto di servizio» ed era una pedina di De Gennaro: «Forse – avrebbe detto Genchi ai pm di Caltanissetta – De Gennaro gli ha fatto avere una casa, non so bene a chetitolo, una casa che forse è andata a una delle figlie». A La Barbera sarebbero stati trovati vecchi estratti conto con versamenti fino a 115 milioni di lire versati in contanti all’ex capo della Mobile fra il settembre 1990 e il dicembre 1992. Da qui la decisione di intercettare De Gennaro e di pizzicare Prestipino in questa conversazione.

«Non parlo dell’indagine nei miei confronti, sia perché ha avuto ben poca importanza nella mia decisione, sia perché sono

assolutamente tranquillo e persuaso che la vicenda sarà, spero a breve, chiarita, acclarando la linearità del mio comportamento, conforme, peraltro, a quello che ho tenuto per tutta la vita», conclude l’ormai ex magistrato.

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