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Separazione delle carriere: attenzione alle fallacie. È battaglia di civiltà

Non fatevi prendere dal timore riverenziale verso una categoria: la magistratura va cambiata e va cambiata proprio perché gli stessi magistrati, come applicatori di legge, non sono quelli dell’inizio della Repubblica

Separazione delle carriere: attenzione alle fallacie. È battaglia di civiltà
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Non fatevi prendere dal timore riverenziale verso una categoria: la magistratura va cambiata e va cambiata proprio perché gli stessi magistrati, come applicatori di legge, non sono quelli dell’inizio della Repubblica.

Quando fu pensata la Costituzione, l’idea di un Consiglio Superiore della Magistratura eletto da magistrati ordinari (2/3) e Parlamento (1/3) ebbe una sua contestualizzazione dettata principalmente da due motivi:

  • assicurare un equilibrio da controllo reciproco tra eletti politici ed eletti della magistratura;
  • fidare del fatto che il magistrato ordinario, poiché autonomo, indipendente ed inamovibile, non rispondesse alla corrente di elezione una volta votato ed eletto nel CSM.

Tale strutturazione, quindi, presumeva una portata etica diffusa nella categoria magistratuale (nonché tra eletto ed elettore) tale per cui, al di là del voto, il magistrato stesso non rispondesse al mandato elettivo attesa la carenza del principio di rappresentanza politica nel nostro sistema repubblicano.

Ed è qui che nel corso degli anni, specie con la fine della prima repubblica, la magistratura ha cambiato veste nei fatti: è passata ad interpretare l’elezione al CSM non più in carenza di rappresentanza politica, ma espressamente come esercizio di “politica rappresentativa”.

Ne è un esempio lampante l’Associazione Nazionale Magistrati non per ciò che afferma, ma per ciò che è in radice: i magistrati, nella idea costituzionale, dovevano votare per l’elezione al CSM ma senza farsi coinvolgere in una dimensione correntizia che esprimesse una politica associativa perché il CSM stesso non doveva essere il riversamento di rappresentanze politiche ed atteso che non si dovrebbe essere eletti per programma, ma per esercitare prerogative costituzionali fisse (basti leggere l’articolo 105 della odierna Costituzione: “Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati”).

Il tempo recente, oggettivamente, ci ha consegnato un CSM del tutto condizionato dalla politica di categoria fino a far percepire quest’ultima all’esterno come una casta.

Detta impronta va interrotta e l’unico strumento possibile è il sorteggio. Su tale strumento molti pensano non sia la misura giusta perché potrebbero essere nominati in CSM anche neo vincitori di concorso magistratuale che poco sanno o che poca dimestichezza hanno con le prerogative dell’art. 105 della Costituzione.

Non è del tutto sbagliato l’assunto della inesperienza, ma lo diventa se non si contestualizzano le cose: i magistrati, ad oggi, non vengono formati in risorse umane per essere capaci di assumere, assegnare trasferimenti, promuovere un collega. Quindi questa è una prima fallacia del ragionamento di chi è contrario alla riforma in essere denominata “separazione delle carriere”. Esempio, quest’ultimo, di conflitto d’interessi in radice: “se io sono tuo collega e mi hai pure votato per essere eletto, a prescindere se inquirente o giudicante, come posso controllare il tuo operato con imparzialità e terzietà?”

A questa se ne aggiunge un’altra: molti di coloro contrari alla riforma sostengono che il sorteggio non sia risolutivo perché aprirebbe ad un altro problema ovverosia l’incapacità del sorteggiato fresco di nomina a magistrato a giudicare l’operato di un collega con tanti anni di esperienza. Ma è proprio qui che casca tutto l’assunto (altra fallacia sostanziale): premesso che chi diventa magistrato è riconosciuto dallo Stato italiano quale applicatore della legge per funzione, l’ordinamento giudiziario stesso (legge 195/1958 ad oggi in vigore) non prevede limiti di età lavorativa o di età anagrafica per entrare in CSM. Gli unici limiti di eleggibilità previsti sono riguardo al numero di componenti per funzione tra merito e legittimità nonché di territorialità ed altre sfumature che nulla hanno che vedere con quanto sopra (vedasi artt. 23 e 24 legge del 1958).

Ed al massimo, nel caso fosse ragionevole non sorteggiare in CSM chi non ha esperienza, allora, lo si preveda nella legge di armonizzazione sull’ordinamento giudiziario una volta confermata ed entrata in vigore la riforma sulla separazione delle carriere.

Diversamente, le ragioni del no sono mero costrutto ideologico masochista che dimostra come il terzo

potere dello stato non voglia apparire anche come terzo ed imparziale. Perché?

È semplice: il potere giurisdizionale nasce per applicare le norme deliberate dal potere legislativo (ovverosia il Parlamento) e non altro.

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