Cultura e Spettacoli

Magris, il maestro che colleziona premi

G ran dottore delle lettere, patriota mitteleuropeo con passaporto italiano, fiore all’occhiello dell'intelligenza accademica militante e illustre garante della lobby intellettual-politica «Libertà e Giustizia», Claudio Magris da Trieste siede degnamente al tavolo dei Venerati Maestri di casa nostra. Avendo mantenuto tutte (eccome) le belle promesse della gioventù, il Cavaliere (di Gran Croce) Magris ha dunque ampiamente schivato l'altra fase del noto paradigma di Arbasino sull'evoluzione degli intellettuali nostrani («belle promesse, venerati maestri, soliti stronzi»). Il Magris si è guadagnato la medaglia al valor culturale grazie ad un’immensa erudizione transnazionale (è perfettamente trilingue: italiano, tedesco e francese), ai raffinati scritti e alla parsimonia asburgica con cui dosa le sue apparizioni, rarissime in tv, rare anche su giornali che non siano l’amico Corriere della Sera. Schivo in questo come un personaggio dell’amato Svevo, il professore eccede altrove, innanzitutto in premi e felicitazioni per la brillante carriera letteraria.
Il conto è arduo ma ci tentiamo, limitandoci ai casi più recenti, altrimenti si fa notte: Premio Carducci (a luglio), Premio Letterario Internazionale Vilenica (in Slovenia, a maggio), Premio «Friedenspreis» dell’Unione editori e librai tedeschi (a giugno), Medaglia dell’Ordine delle Arti e delle Lettere del governo spagnolo (a maggio), Premio Campiello Germania (ad aprile), conferimento del Sigillo trecentesco (a Trieste, pochi giorni fa), Civica benemerenza della città di Trieste (tra pochi giorni). E poco più indietro: Premio Natalino Sapegno, Premio Libro del mare, Premio Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Premio Giovanni Boccaccio, Premio Corrado Alvaro, Premio «Graziosi / Terra degli Aironi», Prix Méditerranée, Premio Elsa Morante, Premio Le Cattedrali letterarie europee, e via così.
Contando che Magris ha cominciato a spazzolare onorificenze dal 1972 (Premio Debenedetti), ognuno azzardi un suo calcolo sul totale (su internet c’è addirittura chi sostiene siano 3mila i premi ricevuti dalle varie municipalità italiane, farebbe una media di un premio ogni tre comuni italiani, un record mondiale...). E meno male che ad un quotidiano tedesco lo scrittore ha recentemente confessato: «Quando ricevi un premio ti chiedi: perché?». Si potrebbe fare un’altra domanda, al maestro: ma la moltitudine di giurati e sindaci che ovunque mi premia, avrà letto i miei libri? Perché i libri di Magris sono le tipiche opere più citate che sfogliate. Chi si addentra nelle atmosfere decadenti di Danubio o nei meandri ipercolti di Un altro mare, avrà un rapido saggio dell’influenza soporifera che la cultura ebraico-mitteleuropea può avere sul lettore.
Non bastasse, il letterato giuliano è, come ogni autunno, papabile per l’imminente Nobel secondo gli allibratori. Troppo colto per dare credito alle scaramanzie, si è comunque tenuto libero per la terza settimana di dicembre (per altri eventuali premi in quel periodo, prendere accordi con la sua segreteria).
Genio precocissimo, il germanista più seduttivo del comparto Italia-Austria-Germania ha bruciato le tappe: laureato a 23 anni col fior fiore dell’università di Torino, diventa ordinario di Lingua e Letteratura tedesca nello stesso Ateneo con la velocità di una lepre, a 31 anni. Quando ne ha soltanto 24, si vede recensire la tesi di laurea, Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna, nientemeno che dal Corriere della Sera. La bella promessa stava già provando l’abito da prossimo Venerato Maestro, che si sarebbe conquistato di lì a poco con il placet della baronìa letteraria italiana e altri volumi di grande sciccheria intellettuale, sempre tra Adriatico e Austria felix, tutti composti a penna: «Io uso ancora la penna. La penna segue il corso del pensiero, che scorre attraverso la mano con una sua armonia. Battere sui tasti del computer invece è come pensare una parola alla volta, per me è come parlare inglese», lingua ostica all’intelletto continentale del premiatissimo autore italo-scettico. Facile capire che un professore del genere, coltissimo, giovane, scrittore, col ciuffo, tenebroso, fumatore, che scrive a penna, farà la strage delle studentesse di Lettere. Così è nato il mito dell’intellettuale assediato da signore e signorine in adorazione, il Magris che «in gioventù corteggiava le ragazze con le traversate a nuoto dalla spiaggia di Duino sino al castello dei Torretasso» (Pietrangelo Buttafuoco), da meno giovane le conquista con una semplice occhiata mitteleuropea. Rimasto vedovo della scrittrice Marisa Madieri nel 1996, si è risposato nel 2004 in gran segreto, liberandosi in questo modo - dissero certi amici pettegoli - di quell’incubo chiamato donna. Così da ritornare di nuovo bello ma impossibile. E sempre oggetto di venerazione mistica per tutto il «culturame» (copyright Brunetta).
Se si vuole cercare il buio nella luminosa parabola del Cavalier Magris, padre della patria letteraria beneducata, bisogna guardare innanzitutto al suo impegno politico, che consta di due tappe principali. La prima è l’elezione al Senato nel 1994, con la «Lista civica Trieste», un melting pot di area progressista. «È stato lui l’inventore di un precoce “Ulivo”, a Trieste - spiegò lo scrittore e senatore Corrado Stajano -. Magris era riuscito a mettere in piedi un’unica lista, impresa oggi impossibile, con dentro i gruppi che dall’estrema sinistra arrivavano ai Popolari». Un fritto misto dell’adriatico. Il poeta rimarrà a Palazzo Madama meno di due anni, come senatore del gruppo Misto alleato dell’Ulivo, un’esperienza poco memorabile che non ha lasciato tracce, anche per via della totale estraneità dell’asburgico Magris al mondo degli intrallazzi politici romani. «Se ne sta seduto lassù sugli spalti del Senato come in castigo», disse di lui un collega. «Ho sofferto in quel periodo, avrei voluto fare qualcosa per il mio Paese - spiegò poi il genio triestino -. Ma non rinnego nulla: non ho mai pensato di redimere l’Italia facendo il senatore. I grandi intellettuali delusi dalla politica mi irritano non poco». Diversamente da altri padri della patria come Umberto Eco, infatti, Magris non ha mai pensato di espatriare, pur detestando l’Italia di Berlusconi con uguale accanimento. Quando lo hanno premiato a Madrid, pochi giorni fa, ha spiegato agli spagnoli che il nostro Paese è in una «situazione disastrosa» e che il Cavaliere (nel senso di Berlusconi) è però intelligente perché ha saputo «fare del vizio una virtù». Anni prima aveva già espresso il suo orrore per la montante «marea di destra» in Italia, e «l’autoritarismo soft e gelatinoso» sempre della ditta Berlusconi e Co, autori secondo lui di una vera «discesa agli inferi» per la Nazione. E qui si arriva alla seconda fase del Magris politico, la più oscura, il vero mistero che nessuno ha ancora compreso a fondo. Parliamo del suo recente invaghimento politico per Antonio Di Pietro, niente di più lontano dalle sfumate atmosfere dell’universo magrisiano. Lì le brume del Danubio, là i trattori di Montenero di Bisaccia, da una parte le inquietudini interiori di Roth, dall’altra le urla al megafono di Tonino, un po’ dell’Uomo senza qualità di Musil e un po’ dell’Uomo senza sintassi di Di Pietro.
Europeista convinto, amante dei confini e della poetica frontaliera, lo scrittore detesta sentitamente ogni genere di nazionalismo e di separatismo. Forse più ancora di Berlusconi lo repelle il leghismo, che considera roba da ignoranti analfabeti. Sul Corriere ha preso per i fondelli l’idea di far studiare le tradizioni locali nelle scuole: «Cambiamo i programmi: El moroso de la Nona al posto della Divina Commedia. Invece dell’Inno di Mameli mettiamo No go le ciave del portòn, triestino doc». Con la sua poetica da cittadino del mondo, che esalta gli incroci culturali e i felici collage di popoli, Magris è diventato la musa del progressismo borghese tipico del Corriere.
Talento multiforme e multipremiato, in fin dei conti il quasi Nobel Magris si considera un artista fallito. «Devo confessare di avere una vocazione cinematografica frustrata. Il raccontare è la pittura, il cinema, il teatro». Non i suoi libri.

Provi a raccontarlo all’Accademia di Svezia.

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