Mail private in ufficio, scatta l’era dei divieti

DILEMMA Va deciso se la Rete estende i 5 sensi o è solo la moderna pausa caffè

Mail private in ufficio, scatta l’era dei divieti

Ore 9, il computer s’accende e parte la messaggeria istantanea, giusto il tempo di guardare chi c’è e salutare. Quindi un controllo alle email, di lavoro e personale. In entrambe c’è il messaggio di un collega: un «power point» con foto delle più belle modelle dell’anno.
Ore 10 è il turno di Facebook: nome utente e password , un’occhiata ai messaggi, uno sguardo alla bacheca per vedere cosa fanno gli «amici». Intanto un clic su eMule per «scaricare» film da guardare stasera a casa. Infine un’occhiata al sito di news.
La routine dell’impiegato Pc-dipendente è fatta così. Salvo contromisure dell’azienda. Cercando su Google le parole «aggirare», «protezione» e «aziendale» spuntano 492.000 pagine web. E le prime sono zeppe di dritte per scavalcare i filtri che impediscono ai dipendenti di «surfare» liberi tra le onde della Rete.
Il popolo degli impiegati-internauti scalpita, insofferente alle briglie informatiche sempre più tirate dai datori di lavoro. Che ora hanno a disposizione software in grado di impedire, per esempio, l’accesso a ogni sito che contiene la parola «mail». In passato lo fece Bloomberg news e anche il municipio di Parigi ha regole molto severe in materia. In Inghilterra negli ultimi tre anni oltre 1700 dipendenti pubblici sono stati sanzionati per abuso di internet a fini privati. E 132 hanno perso il lavoro.
Alla base c’è l’eterno dilemma uovo-gallina, sottile quanto la soglia che divide il fannullone dall’onesto lavoratore in meritata pausa. Tutto sta a decidere se il web è un’estensione dei cinque sensi del dipendente, un nutrimento della mente per l’impiegato creativo o solo una pausa caffè fatta di bit. O addirittura l’equivalente web del fannullone che scappa a far la spesa (e ora si può fare da siti come eBay o i supermarket on line).
A regolare la materia inizialmente ci ha provato la Cassazione, senza riuscire però a mettersi d’accordo con se stessa: la somma delle pronunce non porta a una linea unitaria. Nel 2007 il Garante per la Privacy ha raccomandato ad aziende ed enti di dotarsi di regolamento informatico per vietare o consentire l’uso privato del web.
Come hanno reagito i manager pubblici e privati? Molti hanno imboccato la via più stretta. Il Comune di Torino nel proprio regolamento ha inserito il divieto di mandare email private dal computer d’ufficio. «Serve a evitare perdite di tempo - ha spiegato a La Stampa l’assessore alle Risorse Umane Beppe Borgogno - ma anche per salvaguardare i nostri pc da eventuali virus».

Nello stesso regolamento si prevede però almeno una scappatoia, «l’ora d’aria telematica»: all’ora di pranzo è consentito navigare liberamente e mandare mail. Il Quartiere Uno di Firenze si è spinto oltre: divieto totale di usare i pc a fini privati (salvo «assoluta necessità»). Neanche per controllare il conto bancario on line.

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