Un mal d'Africa grottesco ed esplosivo

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Davide Brullo

La scena più bella è questa. Michael Adriko, ugandese addestrato dal Mossad, killer in Afghanistan, la copia negra dell'ufficiale Walter E. Kurtz di Apocalypse Now, interpretato da un Marlon Brando psichedelico, rotea un machete ai piedi di un baobab, «lo alza sopra la testa come se volesse recidere il sole dal cielo». Vuole uccidere una strega africana, soprannominata La Dolce, che gli ride in faccia e ostenta la tenebrosa vulva. «Io sono La Dolce Vita!!! Tu sai cosa vuol dire: che la vita è dolce. Ecco, quella sono io. Io porto la vita. La vita è dolce. Ma prima dobbiamo sacrificare. Prima Dio prenderà ciò che vuole. Prende i bambini tra le sue fauci. Possiamo fermarlo?», grida lei, la maliarda, scotennata dalla follia. «Tu puoi fermare Dio? Tu puoi fermare Dio? E tu? Puoi fermare Dio? No!!! Non puoi!!!», urla ancora.

Un centinaio di pagine prima Adriko, il killer anarcoide, aveva detto di voler sterminare tutti gli dèi. Intorno all'ultimo, fosforico romanzo di Denis Johnson, Mostri che ridono, molti hanno citato Cuore di tenebra di Joseph Conrad. Troppo comodo. Avevano detto lo stesso dell'altro romanzo di Johnson, più robusto, Albero di fumo (Mondadori, 2009). In questo romanzo c'è un danese che lavora per la Nato, Roland Nair, che è quello che ci racconta la vicenda, che dovrebbe fare la parte di Marlow, l'alter ego narrativo di Conrad, c'è l'Africa, ci sono i tempi nostri (lo intuiamo quando appare Susan Rice, «l'attuale consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca. La regina, in altre parole, dei segreti e delle tenebre»), c'è il Congo e ci sono i «mostri che ridono», che sono, semplicemente, la catena di montagne ugandesi. Solo che il cuore del romanzo si chiama Davidia St Claire, «una donna bellissima», afroamericana, che sembra ingenua ma è spietata e lascia i due boccaloni, Adriko (il suo uomo) e Nair (che le sbava dietro), impelagati in un traffico di uranio, con il due di picche tra i denti.

In questa giungla narrativa, che c'entra Conrad? Poco o nulla. Ottimo poeta, celebrato per i racconti di Jesus' Son, Denis Johnson griffa un romanzo sadico e cinico, velocissimo, sul Grande Gioco nell'epoca di Zuckerberg e del Web.

Più in profondità, questo è un romanzo della perdizione. Dove gli uomini sembrano un incendio freddo e senza destino. Per questo, vale la pena morire nell'Africa oscura piuttosto che vivere all'ombra di una vetrina newyorchese, facendo shopping con una succulenta sciantosa.

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