La maledizione del "14" perseguita gli anti Cav

Gianfranco e compagni sono stati sconfitti ieri, nello stesso giorno del dicembre scorso

La maledizione del "14" 
perseguita gli anti Cav

È una questione di numeri. E di consonanti. Quattordici dicembre, anno duemila e dieci, la voce, direi di fiamma spenta, appartenente a Fini Gianfranco, presidente della Camera, così annuncia: «Presenti seicentoventisette, votanti seicentioventicinque, maggioranza trecentotredici, hanno votato sì trecentoundici, hanno votato no trecentoquattordici, la Camera respinge». Trattavasi della mozione di sfiducia al governo, sempre presieduto da Silvio Berlusconi. Il banco non saltò, nonostante Mirabello e dintorni, vennero sventolate bandiere tricolori al grido di «Italia Italia» e il presidente fu costretto a tradire la Patria, chiedendo ai festanti, di centro e di destra, esclusi i suoi fedeli, di riporre i drappi.

Quattordici ottobre, anno duemila e undici, la voce, sempre meno ardente, di Fini Gianfranco, annuncia: «Presenti seicentodiciassette, votanti seicentodiciassette, hanno votato sì trecentosedici, hanno votato no trecentouno la Camera approva». Trattavasi della mozione di fiducia, soltanto una ESSE in più ma cambiando l’ordine delle lettere il risultato è lo stesso, Silvio Berlusconi e la sua orchestra, il governo tiene, resiste, resiste, resiste, Borrelli può capire anche se il suo ex compagno di banco preannuncia ribellioni sociali per oggi e domani e dopodomani, il paese è piccolo, la gente, affamata (testuale) sta per esplodere. La data? Forse il quattordici di novembre, forse di dicembre.

Il numero torna come una zanzara notturna, ronza attorno alla testa di Fini, uomo fedele ma non nei secoli, comunque personaggio e personalità di credenze superstiziose al punto che (raccontano i finiologi ante Bocchino natum) il quarantenne attivista dell’emmeessei, nelle elezioni politiche del Novantadue, si presentò al seggio quarantasette (per la smorfia morto che parla) facendosi accompagnare dal deputato Donato Lamorte, per annullare eventuali sortilegi. Erano giorni di trionfo, per il giovane rampante del Movimento sociale che si batteva per la pena di morte a carico dei mafiosi. Il quattordici rappresentava, tuttavia, ancora un numero felice: nell’Ottantasette, il quattordici di giugno, Fini era stato rieletto deputato nella circoscrizione Roma-Viterbo-Latina-Frosinone, secondo soltanto a Giorgio Almirante. La carriera ormai aveva preso l’avvio, in Italia e all’estero.

Non era per lui pensabile che lo stesso numero avrebbe avuto altri significati e congiunture meno gaudiose nel secolo futuro (e libertà). Ma queste, a volte accadono, il ministro dell’Interno, Maroni Roberto ne ha parlato scherzando, mentre i suoi colleghi, onorevoli e senatori, sfogliano il loro bignamino e dibattono su Pirro e Aventino, con qualche strafalcione o ignoranza storica. Detto per inciso, la protesta parlamentare dei socialriformisti, dopo la «strana» e improvvisa scomparsa di Giacomo Matteotti e prima ancora del suo assassinio, si trasformò in un rafforzamento del potere mussoliniano. Va da sé che paragonare, a Di Pietro piacendo, i due momenti storici, ci vogliono l’ardire e il dire raffinato della deputata Bindi Rosi e del resto della compagnia.

Ma resta in piedi il gioco numerico, la cabala, la superstizione che non sempre sono dovute al caso, meglio non molestarle. Fini, studioso di politica, geografia e storia, sa benissimo, ad esempio, che nei primi anni difficili del Novecento, per la precisione era il Millenovecentododici, Theodore Roosevelt, mentre era in piena campagna elettorale, venne pistolettato dall’oppositore William Schrank ma continuò, eroicamente, a tenere il discorso nel Milwaukee pur con una ferita sul corpo e la pallottola calda nelle carne. Era il quattordici di ottobre. Così come il suicidio di Rommel, sempre di quattordici, sempre di ottobre.

Dicono che quello di ieri per Silvio Berlusconi sia stato il

giorno più lungo. È il titolo di un film interpretato dall’idolo cinematografico di Gianfranco Fini, John Wayne. Segnalo una frase recitata dal Duca: «Reggerete finché vi sostituiranno». Ogni riferimento è puramente casuale.

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