Più che liberati dai tabù sessuali gli italiani sembrano entrati in una fase di attenzione morbosa verso il sesso, e più è contorto meglio è: come i bambini, che, alle prime scoperte della sessualità, si compiacciono delle parolacce e ridono felici dicendo «culo». Riguardo al fenomeno delle intercettazioni, per esempio, attirano l'interesse più gli squallidi episodi di scambi di favori tra veline e potenti che la corruzione vera, etica, politica economica. Il caso Sircana, risibile in sé, ha appassionato molto di più dei gravi traffici per impossessarsi di banche e giornali da parte di gruppi di potere. Il casi di due gay che si baciano - o che altro - al Colosseo, sta sollevando un dibattito superiore a quello sui Dico. Mentre molti politici di governo diventano paladini degli omosessuali e danno addosso ai carabinieri proprio per coprire l'affossamento dei Dico, il mondo gay, piuttosto che mobilitarsi sulla questione importante dei diritti dei conviventi, organizza kiss pride con l'identico entusiasmo del bambino che gode a dire e ridire «cacca».
Il simbolo dello scadimento della serietà in favore dell'esibizionismo e del voyeurismo pettegoli è Fabrizio Corona, che si compiace di essere stato in galera perché da allora è diventato più ricco; e che, fiutato lo stato d'animo generale, pensa addirittura di fondare un partito politico: perché apparire è meglio che essere. In questa visione del mondo - esibizionista più che edonista, morbosa più che curiosa - sembra persino normale che il tunisino a cui a Erba hanno sterminato la famiglia diventi un testimonial dello stesso Corona; che i sospettati di orrendi delitti diventino star della televisione e dei rotocalchi; che persino le mamme colpite dalle disgrazie più tremende compaiano in tv a esibire la fresca messa in piega, insieme al dolore. Poi ci si stupisce che, nelle scuole superiori, un'attività prediletta degli studenti sia compiere atti di bullismo e prevaricazione sessuale allo scopo principale, se non unico, di filmare e fotografare il tutto per metterlo su internet. Se il modello è l'esibizione pubblica a qualsiasi costo, il risultato non può essere che quello.
In tutto ciò la stampa e la televisione hanno una responsabilità grave, per il compiacimento con il quale sollecitano i gusti più bassi del pubblico. È dimostrato che l'ossessiva pubblicizzazione di mostruosità come il lancio dei sassi dai cavalcavia, i suicidi scenografici, persino le stragi nelle scuole, provochino emulazione. Non intendo dire che i mass media debbano censurare le notizie, per carità, ma che un minore compiacimento nel rotolarsi nel fango e una maggiore serietà farebbero soltanto bene. Anche perché la ricerca pruriginosa dello scandalo è una strada senza ritorno e che dà assuefazione, quindi richiede dosi sempre maggiori.
È esemplare, in questo senso, il caso dei bambini di Rignano. Caso grave, gravissimo, da trattare con la massima severità - ma anche con la massima discrezione - proprio perché si tratta di bambini. Pazienza per la sfilata televisiva di avvocati in cerca di fama e di genitori che, più parlano, più sembrano essere soddisfatti di essere al centro dell'attenzione, a qualsiasi costo. Non è ammissibile, invece, che molti giornali abbondino di dettagli («lo sfregamento del fazzoletto sulla patatina») esaltanti per i pedofili quanto ammorbanti per tutti. Proprio ieri il Corriere della Sera, mentre si compiaceva di simili particolari per due pagine in apertura di giornale, ha pubblicato un'intervista illuminante al neuropsichiatra infantile Giovanni Bollea. Gli interrogatori cui vengono sottoposti i bambini di Rignano, il gran parlare che si fa intorno al caso finiranno per nuocere alle vittime più delle stesse violenze e non giova al processo. Quei bambini adesso vanno soprattutto tutelati: «Le madri e i padri non avrebbero dovuto permettere di fare interrogare i loro figli così piccoli. Che cosa proveranno fra qualche anno, quando saranno cresciuti, ricordando cosa gli hanno fatto fare? Perché non li lasciamo finalmente in pace?».
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