Mamme lavoratrici contro chiocce: «Basta giudicarci»

Eccola la Müttermafia, pericolosa, strisciante, pervasiva: la mafia delle madri, una confraternita che non lascia scampo, o sei dentro o sei fuori ma, per essere una del gruppo, le regole sono ferree. E la prima di tutte è: le altre non vanno bene. Cioè le madri che abbandonano i figli per tornare a lavorare, che non cucinano tutto in casa, che non conoscono ogni novità in fatto di pannolini, pappette, cremine, accessori e simili, che non frequentano corsi educativi. La Müttermafia è stata scoperta e denunciata da Anette Dowideit, giornalista e scrittrice tedesca ma, soprattutto, madre fuori dal gruppo. Dowideit non è una mamma perfetta, anzi, è assolutamente colpevole: lavora, e pure felicemente, anche se deve barcamenarsi come può - e a quanto pare non le riesce neanche troppo male, visto che è stata corrispondente da New York per quattro anni per Die Welt e Welt am Sonntag, nel frattempo ha cresciuto il pargolo e, ora che è tornata in Germania, a Francoforte, ha pubblicato un libro che ha scatenato polemiche, quindi vendite: Mein Job, mein Baby, mein Chef, mein Mann und ich.
Il titolo è un elenco, per rendere l’idea della vita caotica che conduce, e tradotto significa: «Il mio lavoro, mio figlio, il mio capo, mio marito e io», sottotitolo: «Training di sopravvivenza per madri lavoratrici». Ma il training, questa è l’idea di Dowideit, serve soprattutto a difendersi dalle altre, le gregarie della Müttermafia, che sono in grado di demolire l’autostima materna in un lampo. «Sono tutte quelle donne che in Germania rinunciano al loro lavoro, che sono solo a disposizione del figlio, perché cadono nel panico al pensiero di perdersi qualcosa nell’educazione dei figli. Invece di andare a lavorare o di seguire altri interessi, cucinano per ore dei menu completi o frequentano i corsi di inglese per i più piccoli» ha spiegato Dowideit alla Bild. Ma tutto questo è un male? Il problema, dice Dowideit, è un altro: «Siccome sono completamente infelici della loro esistenza, rendono la vita difficile alle madri che lavorano».
Queste ultime, le «snaturate», hanno un soprannome che dice tutto: Rabenmütter, madri corvo, cioè tutto il contrario della chioccia, affidabile, rassicurante, morbida, in una parola, materna. Le Rabenmütter sono guardate in cagnesco dalle «fondamentaliste», che non si lasciano sfuggire l’occasione per affilare il coltello e affondare, nel senso di colpa e poi più giù, fino a colpire il cuore di mamma. C’è quella che ti giudica se estrai un omogeneizzato al parco, quella che ti fa la ramanzina se non prepari cibi freschi, quella che ti sgrida perché hai portato il figlio in viaggio di lavoro. E c’è perfino la collega tornata in ufficio perché i suoi tre figli, tutti allattati fino ai due anni, sono ormai in età di scuola, ma che ti fa notare che «per i primi anni non puoi certo lasciarli soli». Dowideit forse si sente in colpa, davvero, però la domanda è legittima: perché lo fanno? «Forse per invidia o per noia, forse perché vorrebbero andare a lavorare? Frustrazione che non sanno come sfogare?». Queste signore della Müttermafia devono averne combinate proprio delle belle a Dowideit, per spingerla a mordere così.

E addirittura a farle sfoderare la statistica, secondo cui i bambini che frequentano il nido andrebbero meglio al liceo. I numeri del resto sono come certe fissazioni: modi per sopravvivere, anche per le mamme, ognuna come può.

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