Cultura e Spettacoli

Manager in ogni museo: così ti rinnovo l’Italia

Il ministro Bondi spiega le prossime riforme per i Beni culturali: dirigenti più efficienti, zero burocrazia e tutela del paesaggio

Manager in ogni museo: così ti rinnovo l’Italia

Caro Direttore,
mi sembra che molta dell’intellettualità italiana, sotto il furore della canicola, preferisca insistere su polemiche inutili, piuttosto che concentrarsi sulle cose importanti. Mi permetto dunque di lanciare alcune proposte che ritengo fondamentali per migliorare lo stato dei nostri beni culturali dando corpo a quella rivoluzione che da anni aspettiamo e che potrà portare benefici a tutto il Paese.

CAMBIAMENTI NECESSARI
Dopo l’importante riforma del MiBAC, con la creazione della nuova direzione per la valorizzazione del patrimonio culturale affidata a un manager di vaglia come Mario Resca, la seconda grande riforma che intendo realizzare entro l’anno è la dichiarazione dell’autonomia dei principali musei statali, i quali non saranno più uffici periferici delle Soprintendenze, bensì centri autonomi.
Sul modello della nuova direzione per la valorizzazione, nei musei in questione sarà previsto un direttore che abbia nel proprio curriculum competenze varie che comprendono anche la gestione economica e manageriale dei beni culturali. Di fatto, daremo la possibilità a tanti giovani con lauree specialistiche in management dei beni culturali di dare il loro contributo alla valorizzazione dei musei italiani.
Certo, molti attuali direttori stanno lavorando bene e con passione. Prendiamo per esempio Brera che, in attesa del prossimo ampliamento, sta ottenendo sotto la direzione di un ottimo soprintendente come Sandrina Bandera risultati lusinghieri. Si pensi alle migliaia di persone che hanno affollato i saloni del museo milanese il giorno di Ferragosto. Più in generale, credo però che abbiamo bisogno di nuove professionalità ed esperienze che possano completare ed affiancare quelle eccellenti già in campo.
Ovviamente, questa riforma non avrebbe senso se non si accompagnasse all’attribuzione di autonomia finanziaria dei musei statali, in modo che gli stessi possano beneficiare dell’aumento delle entrate conseguenti al lavoro di valorizzazione. Forse non tutti sanno che, salvo casi particolari, le somme introitate dalle Soprintendenze non vanno nel bilancio dei Beni Culturali bensì in quello generale dello Stato, e che solo una modesta percentuale di esse sono poi riaccreditate al MiBAC.
Questo modello contrasta con un elementare principio di buon senso secondo cui i riflessi positivi del proprio operato devono andare - e non solo in misura irrisoria - a vantaggio dell’ufficio che ha concorso a crearli. Oggi avviene l’esatto contrario, con le evidenti conseguenze in materia di demotivazione del personale e di carenza di risorse per il Ministero. Al contrario alcuni esempi di autonomia, pensiamo agli eccellenti risultati del museo egizio di Torino che è stato trasformato in una fondazione, fanno capire che si può fare tanto in un settore strategico per l’Italia.

BUROCRAZIA PIÙ SNELLA
Voglio però aggiungere un secondo elemento di discussione. È importante far comprendere agli italiani che la tutela del patrimonio culturale, nonostante le rinunce che sembra imporre nell’immediato, significa in realtà più ricchezza e opportunità di sviluppo nel medio e lungo periodo.
Ha destato, per esempio, scalpore il vincolo paesaggistico posto su 54.000 ettari dell’Agro Romano. La città di Roma e l’Agro Romano rappresentano le vestigia della nostra civiltà. Intendiamoci, nessuno vuole trasformare Roma e il suo paesaggio in un museo. Nessuno aspira a impedirne lo sviluppo naturale e la crescita economica e sociale. Ma andare avanti con lo sguardo rivolto al passato è uno dei paradossi del nostro tempo postmoderno, dove spesso la scelta più feconda in termini di futuro si rivela essere quella di una giusta valorizzazione del passato.
A mio parere, poco attenta è stata negli ultimi anni la gestione del territorio e soprattutto troppo vistosi sono stati gli abusi compiuti a causa di un errore di prospettiva, per non cercare di invertire la tendenza.
Nel 2004 il Codice Urbani ha introdotto una piccola rivoluzione: conferma da un lato alle Regioni la delega della funzione di autorizzazione paesaggistica, ma anticipa dall’altro, a prima dell’autorizzazione, il giudizio del soprintendente - e cioè la funzione di tutela da parte dello Stato - come parere preventivo sul merito stesso della compatibilità del progetto edilizio col valore paesaggistico protetto.
L’entrata in vigore del nuovo procedimento, previsto dal codice Urbani, era stata posticipata di due anni. Nel frattempo, si è adottato un regime transitorio ad hoc che tiene in vita il vecchio sistema dell’annullamento ministeriale di sola legittimità. Nel 2006, Ministro Buttiglione, un nuovo decreto ha rafforzato il parere preventivo del soprintendente e, per evitare che un piccolo comune fungesse contemporaneamente da controllore e controllato, ha limitato la delega delle Regioni alle province o a consorzi di comuni, facendo slittare l’entrata in vigore del nuovo regime.
Nell’aprile 2008, Ministro Rutelli, si è da un lato mantenuto fermo il principio di differenziazione e adeguatezza, ma dall’altro si è riammessa la delega ai singoli Comuni, subordinandola alla condizione che fossero dotati di adeguate strutture, demandando alle Regioni il compito di verificare l’adeguatezza degli enti locali.
Il principio di adeguatezza-differenziazione per la competenza all’autorizzazione - che ha solide basi nell’articolo 118 della Costituzione - è fondamentale per una efficace azione di tutela. La sua attuazione ha però dovuto superare remore culturali e risolvere problemi pratici non trascurabili.
Nella maggior parte delle Regioni, l’attività volta alla verifica dell’adeguatezza delle strutture comunali e di introduzione dei necessari correttivi ha comportato infatti tempi più lunghi del previsto. D’altro canto anche l’adeguamento delle risorse delle Soprintendenze per far fronte ai più impegnativi compiti loro demandati dalla nuova disciplina del procedimento autorizzatorio ha richiesto tempo. Per questa ragione, anche perché richiesto dalle Regioni, il termine iniziale di applicazione della disciplina a regime è stato differito.
I prossimi cinque mesi dovrebbero essere comunque sufficienti a definire le verifiche di adeguatezza per il mantenimento della subdelega ai Comuni; in questo senso, i dati forniti dalle Regioni appaiono confortanti. Così è mio fermo convincimento che non sarà necessario disporre altri differimenti e che, con l’inizio del 2010, la disciplina del procedimento autorizzatorio possa finalmente entrare in vigore.
L’attenzione e gli sforzi di tutte le amministrazioni pubbliche potranno dunque concentrarsi sulla pianificazione congiunta dei territori e sulla connessa trasformazione dei vincoli paesaggistici: da vincoli semplicemente perimetrali - la cui applicazione dipende dall’interpretazione soggettiva, che rischia di sconfinare nell’arbitrio, da parte dei singoli esperti o funzionari - a vincoli corredati dalle prescrizioni d’uso, ovvero dei criteri di gestione, che consentano di valutare i progetti di trasformazione delle aree vincolate in modo razionale, equilibrato e socialmente comprensibile. Quello che appunto intendo fare da subito nell’Agro Romano e in qualunque altra regione d’Italia.
Certo, molto ancora si può fare sul fronte della semplificazione e, in questa direzione, mi sono impegnato in prima persona. La tutela del paesaggio non deve rappresentare un impaccio burocratico, ma una ragione di sviluppo del nostro Paese. Ritengo perciò importante accelerare nella direzione della semplificazione delle procedure. Un apposito gruppo di lavoro mi ha già presentato uno schema di regolamento di semplificazione per gli interventi di lieve entità, con l’obiettivo di ridurre di oltre il 50% il carico burocratico per il cittadino (e i carichi di lavoro degli uffici comunali, regionali e delle Soprintendenze).
Conto entro l’anno di fare approvare definitivamente dal Consiglio dei ministri anche questo ulteriore regolamento.

CULTURA E URBANISTICA
Mi piacerebbe aggiungere un terzo e ultimo elemento di riforma. Quando si progettano nuovi quartieri residenziali sarebbe bello che intervenissero oltre agli architetti anche artisti, scultori, pittori, per abbellire le costruzioni e gli spazi pubblici.
Noi uomini postmoderni abbiamo infatti il compito di riportare l’arte nel cuore delle città. Sono convinto che si debba investire nella Bellezza; far lavorare i nostri artisti; lasciare qualcosa ai posteri. La rigorosa e prioritaria tutela e valorizzazione del prezioso patrimonio ereditato non devono costituire un freno all’espressione della capacità creativa delle nuove generazioni. Le città sono organismi che hanno bisogno di nuove opere artistiche e architettoniche, che ne arricchiscano l’immagine.
In questo senso, mi sto battendo anche per la rapida approvazione del disegno di legge-quadro sulla qualità architettonica. Con questa iniziativa voglio richiamare l’attenzione sul tema della qualità dell’architettura e del raggiungimento di più elevati standard di progettazione e di realizzazione delle opere pubbliche. Intendo sottolineare il valore preminente dell’architettura, riconoscendone il ruolo fondamentale nell’ambito della corretta gestione del territorio e nella definizione dei contesti storici, ambientali e sociali.
Non a caso, il primo articolo di questo nuovo schema di disegno di legge, proclama che in attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, la Repubblica promuove e tutela la qualità dell’ideazione e della realizzazione architettonica, cui riconosce particolare rilevanza pubblica, anche ai fini della salvaguardia del paesaggio, nonché del miglioramento della qualità della vita. E di seguito, che la qualità architettonica si persegue attraverso un coerente sviluppo progettuale che recepisca le esigenze di carattere funzionale, sociale e formale poste a base della ideazione e della realizzazione dell’opera e che garantisca il suo armonico inserimento nel paesaggio e nell’ambiente circostante.
Queste le priorità: ridare spazio alla qualità della progettazione, dalla ideazione dell’opera fino alla sua concreta realizzazione, in modo da ravvivare la nostra architettura contemporanea; arricchire le nostre città di nuovi interventi che si affianchino armonicamente al patrimonio storico-artistico, testimoniando della capacità della nostra cultura non solo di conservare e tutelare il grande lascito del passato, ma anche di innovare e creare per il futuro nuove risorse urbanistiche e monumentali.

*Ministro per i Beni culturali

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