Massimo Malpica e Gian Marco Chiocci
Roma - Nessun privilegio, ma solo una «convenienza a comprare», a quel prezzo e alle spalle di piazza Navona. Nicola Mancino, vicepresidente del Csm, torna a difendere il suo acquisto immobiliare nel centro di Roma, un appartamento all’ultimo piano di un palazzo anni ’30 in corso Rinascimento, a due passi dal Senato. L’aveva ottenuto dall’Ina nel 1985. E allo scoppio di Affittopoli, dieci anni dopo, anche il politico avellinese e la sua casa in centro storico da un milione al mese finirono sui giornali.
Il 28 agosto del 1995, Mancino decide di chiarire che il suo non è un affitto di favore. «È una brutta casa - racconta al Giornale 12 anni fa - e anche se è all’ultimo piano non è un attico, e non ha neppure il terrazzo, mi sento in gabbia». Se il canone sembrava un po’ bassino prima dell’adeguamento, c’era pronta la giustificazione: «Quando l’ho presa pagavo spese di riscaldamento altissime per non ottenere alcun beneficio: entrava aria da ogni fessura ed ero costretto a girare con la coperta addosso per non morire di freddo».
Insomma, praticamente una grotta, seppure ad alta quota. Tanto che, aggiungeva l’attuale vicepresidente del Csm, nel periodo in cui era stato ministro dell’Interno, tra il ’92 e il ’94, il Viminale aveva provveduto a fare un po’ di lavori per «sicurezza»: nuovi infissi, doppi vetri, porta blindata. «La ristrutturazione è d’obbligo - chiosava - quando si comanda un dicastero così delicato». E comunque, l’impennata del costo dell’affitto sembrava aver convinto Mancino a fare i bagagli. «È aumentato a tal punto - sospirava ancora col Giornale - che ho chiesto all’Ina di cambiare appartamento: tra spese elettorali e segreteria non nascondo di avere delle difficoltà».
Alla fine, invece, l’ex presidente del Senato s’è fatto due conti e ha cambiato idea. Nonostante il canone fosse salito a 4 milioni di lire al mese è rimasto in quella casa. E, nel 2001, se l’è comprata da Pirelli per un miliardo 550milioni di lire, pari a 800mila euro. Un buon affare, per sette vani catastali e 203 metri quadri di superficie.
«Mi scandalizzo - attacca ora Mancino - per la linea editoriale dei giornali che anziché cercare un caso eclatante hanno messo in fila tutti quelli che hanno acquistato esercitando il diritto di prelazione un appartamento, mica dieci». «Io ho trovato una convenienza ad acquistare - spiega oggi - dopo aver fatto una valutazione delle mie disponibilità finanziarie, e con un mutuo avuto al tasso del 5,25 per cento. Pago due rate l’anno, 20 milioni di lire a semestre. Poiché quattro milioni al mese per dodici fa 48, mentre 20 più 20 fanno quaranta, ho trovato conveniente avere una casa di proprietà piuttosto che pagare la proprietà altrui».
Divenuto padrone di casa, «come tutti i miei coinquilini tranne una sola persona anziana che è rimasta in affitto», però, Mancino i bagagli li ha fatti sul serio. «Col matrimonio di mia figlia la famiglia si è allargata ancora», spiega. E insomma, nei 200 metri quadrati «non possiamo starci tutti insieme», aggiunge.
Ed è così che il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura ha deciso di cercare un altro alloggio e ha traslocato nel nuovo appartamento. Il suo l’ha messo a reddito, dandolo in affitto. Purtroppo, dopo qualche anno, l’inquilino di Mancino è passato a miglior vita, e il bell’appartamento all’ultimo piano del palazzone di corso Rinascimento, ormai senza più spifferi gelidi, è tornato tristemente vuoto. Nicola Mancino ha di nuovo in tasca le chiavi del portoncino blindato.
Qualcuno, nel palazzo, non vedendolo più pensava che avesse venduto, essendo scaduti nel 2006 i cinque anni del vincolo di inalienabilità. Ma non lo ha fatto, e non ha intenzione di farlo, assicura un suo collaboratore. «Il presidente sta cercando un nuovo inquilino». Be’, interessante: 200 metri quadri, sette vani, centralissimo. Chissà quanto chiede.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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