Nicola Mancino ha bollato come «rozze» le critiche al capo dello Stato Giorgio Napolitano dopo la bocciatura del Lodo Alfano. Peccato che il vicepresidente del Csm, oggi pasdaran amico delle toghe, al crepuscolo della Prima Repubblica avesse tre idee chiarissime: riformare il Csm, indebolire i magistrati e cacciare il presidente della Repubblica dalla poltrona più importante di Palazzo de Marescialli.
Più di ventanni fa il giochino quasi gli riesce. I magistrati secondo Mancino «pesano» troppo sulle decisioni del Csm. Ecco lidea: in un disegno di legge datato 29 aprile 1988 del quale è il primo firmatario, Mancino propone di «rivedere gli articoli 104 e 105 della Costituzione relativi alla composizione del Csm per ridurre il peso, ora assolutamente schiacciante, della componente eletta dai magistrati» che «prevale sistematicamente», causando linsorgere «di spinte corporative e degenerazioni correntizie che frenano il Csm». Tutte parole sue. Il numero dei componenti eletti dal Parlamento doveva essere «ridotto a 7 (da 10)», mentre il numero dei componenti eletti dai magistrati «doveva essere fissato a 15, in parte (da tre a otto) nominati dal capo dello Stato o dai presidenti delle due Camere» tra «i consiglieri della Corte suprema di Cassazione».
Mancino si becca subito una bella strigliata da parte delle toghe. Lallora presidente dellAnm Raffaele Bertoni definisce «estremamente pericolosa» la proposta perché «apre un nuovo fronte di attacco allindipendenza dei giudici». Seguono mesi di polemiche furiose tra magistrati, capo dello Stato e Dc. Poi Cossiga sfugge di mano allo scudocrociato con le sue leggendarie «esternazioni», e soprattutto con la sua guerra personale alle toghe. Nel 1991 sulla sua scrivania al Csm arrivano cinque pratiche scottanti relative a scontri tra procuratori capo, sostituti e pm di altrettante procure. Dossier che Cossiga definisce «sgraditi» e che rispedisce al mittente come «inammissibili». Ma la maggior parte del Csm non la pensa così. «Queste pratiche sono di nostra competenza, dobbiamo occuparcene», dice lallora numero due del Csm Giovanni Galloni. La crisi tocca il suo apice. Inizia un «braccio di ferro epistolare» tra Quirinale e Palazzo dei Marescialli. In mezzo si piazza ancora una volta Mancino, che ha unaltra bella pensata: far fuori il presidente Cossiga dal Csm. «Proprio perché gli atti del Csm sono soggetti a sindacato giurisdizionale, sarebbe più giusto modificare la Costituzione dispensando il presidente della Repubblica dallufficio di presidente del Csm», dice Mancino ai giornalisti il 20 novembre del 1991. Detto e quasi fatto, grazie allapprovazione (sponsorizzata Pds) di un ddl. Il calendario segna 16 gennaio 1992. Cossiga parla apertamente di «atto di ostilità al Quirinale di eccezionale gravità» ma per il senatore campano non cè niente di personale.
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