Il «Manifesto» scopre il calcio e butta in politica pure Ranieri

CONFUSIONE Con il nuovo allenatore la Roma fa miracoli Ma per il quotidiano le sue scelte sono addirittura «progressiste»

Il manifesto ha scoperto Ranieri. Non Umberto, già conosciuto ai più tra i politici, nome e cognome del Partito democratico, napoletano transitato dal piccì al pds per finire al piddì, migliorista, così dicesi. Ma qui si tratta di Ranieri Claudio, l’allenatore, di nessuna parentela e/o affinità con l’onorevole di cui sopra, però sparato in prima pagina sul quotidiano comunista. Titolo: Ranieri il progressista. Seguito a pagina quattordici con fotografia del nuovo iscritto e di Totti-Nerone con pollici versi, nuovo titolo «Totti in panchina Che progressista», catenaccio: «Ranieri e un gesto laico per lo scudetto». Ma va? Non pensava, Claudio, di meritare tanto onore e accostamento. In verità la propaganda non è elettorale, quasi, ma politico-ideologica. Nell’articolo di Alberto Piccinini si legge che il cambio di Totti e di De Rossi, nell’ultimo derby, «abbia poco di tattico, un bel po’ di cosmologico, parecchio di psicologico (che nel calcio è la stessa cosa). Che sia quasi un tentativo di ricucire dei lembi della Storia, il gesto per riguadagnarsi il favore di un Fato momentaneamente distratto, una furbizia pokeristica. Si potrebbe parlare in questo caso di una posizione “continuista” e conservatrice rispetto alla storia della squadra... Ranieri, quando allenava il Chelsea in Inghilterra, era stato soprannominato Tinkermann (“pasticcione”) per il suo ricorrere troppo spesso alle sostituzioni. Ieri però il suo gesto è risultato affatto diverso, laico e politico nel senso migliore del termine...».
Un paio di precisazioni: tinkerman ha una enne sola, la traduzione («pasticcione») riproposta da Il manifesto è figlia di un errore di un vecchio articolo su Ranieri; tinkerman è il pignolo-perfezionista (in una cantilena inglese, i bambini cantano così: «tinker taylor, soldier sailor, rich man, poor man, beggar man, thief»), dunque diamo a Claudio quello che è di Claudio, semmai pasticcione è qualcun altro, ma trasformare la sua scelta, veramente tattica e professionale, in qualcosa che serve a ricucire lembi della Storia e per riguadagnarsi il favore del Fato, mi sembra buffo e azzardato, direi poco intelligente, nel senso che non legge il vero motivo della staffetta epocale, storica, eterna come la città nella quale è stata compiuta: via due fantasmi e dentro due calciatori, anche perché la Roma è in corsa per lo scudetto, deve vincere e non si iscrive ai tornei per la tutela e il recupero dei suoi gladiatori che rappresentano la romanità, secondo letteratura da sbarco. Il calcio è questo, il resto è fuffa accademica e, in alcuni casi, come scriveva Gianni Brera, «masturbatio grillorum».
Ranieri Claudio ha fatto quello che da sempre fa, lo faceva in Spagna, a Valencia, con tale Romario de Souza Faria, Romario e basta, che fu costretto ad abbandonare il club per tornarsene in Brasile. Lo faceva in Inghilterra, a Londra, con tale Panucci Christian, spedito su un campo di allenamento con i babies, vista la sua indolenza e la sua maleducazione, lo faceva a Torino con Del Piero, in panchina spesso e malvolentieri, nonostante la protezione di tifosi e stampa piemontese che, per questo, prese a strillare contro il tecnico di Testaccio poi licenziato dai geniali dirigenti juventini.


Il mondo sta scoprendo oggi Claudio Ranieri soltanto perché è primo in classifica, ha superato l’Inter, ha battuto la Lazio, ha fatto dimenticare il proprio predecessore, Luciano Spalletti, che sembrava il depositario del verbo pallonaio nella capitale.
In questo senso, lo dice lui medesimo, ha fatto dei progressi che è una cosa differente, pare, da essere progressista. Mi sembra tutto chiaro anche se poco manifesto.

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