Mannarino canta il Bar della rabbia disco dell’esordio

«Non è importante parlare di grandi sistemi: la mia chiave è la semplicità che mi aiuta a essere graffiante nelle mie interpretazioni». Interprete del nostro tempo, appassionato di musica in tutte le sue declinazioni, capace di rinnovare ogni volta l'emozione di cantare, Alessandro Mannarino, trentenne, sbarca questa sera alle 21 all'Alcatraz dove la platea potrà lasciarsi rapire dai brani del suo disco d'esordio Bar della rabbia (Leave/Universal Music).
Noto per aver presenziato come ospite musicale fisso della trasmssione Parla con me con Serena Dandini, il cantautore romano porta a Milano la testimonianza musicale di un uomo del mondo: «Le mie sonorità nascono dalla passione per tutti i tipi di musica; certo che prendo spunto anche dalla musica popolare italiana: Domenico Modugno, Fabrizio De André..., se vogliamo. Come chi abbandona la propria casa per non diventare come i suoi genitori, poi prendo le distanze e mi lascio influenzare dalle sonorità che ho conosciuto lungo il mio percorso d'artista».
Un itinerario costellato di note e di esperienze che l’hanno arricchito e maturato. «Ho cominciato a 20 anni a fare il dj nei locali di Stazione Termini di Roma, i generi più disparati, da quelli brasiliani, la salsa, il flamenco, la musica gipsy alle espressioni pop. Sono un artista diretto che canta solo se si emoziona attraverso le parole e la musica che deve entrare prepotentemente nell'animo. In genere mi autofiltro e nell'arrangiamento mi appoggio su una mescolanza di generi che parte da canzoni scritte in romanesco, al folk, fino alla fanfara balcanica. Nella mia musica non ci sono confini».
Per questo è difficile attribuire un genere alla musica di Mannarino: «Sto cercando la mia strada; ho un certo gusto, ma non basta. Senza diventare manierato ho bisogno di graffiare». Il suo primo disco racconta tante storie. In un bar si avvicendano una serie di personaggi, ognuno con il desiderio di raccontare di sé.

Così, strizzando l'occhio al surrealismo, delineando situazioni oniriche e tragicomiche, il barbone diventa un eroe per essersi ribellato alla sua vita e il pagliaccio scopre la capacità di piangere. «È come se parlassi di una lotta tra l'umanità, governata da sentimenti e di emozioni e ciò che disumano, fatto di consumo anche del corpo».

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