La «mano-farfalla» trema come una nota

Bruno Lauzi non era soltanto il musicista e il cantante straordinario che tutti piangiamo. Era anche un intellettuale, anomalo e funambolico, e un vero innamorato della letteratura. Quando sulle pagine di questo giornale uscì il «manifesto del mitomodernismo», più di dieci anni fa, fu l’unico del suo mondo che si incuriosì e che volle aderirvi. Al punto che cominciammo a frequentarci. Con la sua inconfondibile zazzera bianca, nuvola e aureola, con la sua statura di cui non mancava mai di inventare metafore scherzose, apparve ai Festival mitomodernisti, interpretò da par suo standard americani insieme con amici jazzisti, e soprattutto lesse poesie. Le sue poesie.
Mentre ci sono cantautori che si vogliono far chiamare poeti per aver messo in rima due belinate, Lauzi, che era, come spesso noi liguri, egocentrico e modesto, musone e logorroico, appassionato e pieno di ironia, scriveva poesia davvero. Poesia senza accompagnamento musicale. Poesia che doveva stare in piedi per la musicalità interna alle proprie parole. Tardi si cimentò anche con il suo romanzo, con uno strambo libretto tra cabaret e surrealismo. Ma la poesia è stato il suo amore di sempre. Ricordo che leggeva i versi delle sue raccolte un po’ sottovoce, come intimorito, come se l’assenza della chitarra lo proiettasse in un universo in cui sentiva di dover entrare in punta di piedi. Ed erano, sono, versi abitati dalla sua intelligenza scattante, dalla sua verve di narratore orale, dal suo indomabile, acuto anticonformismo. La sua poesia, nell’insieme, si può inscrivere nella cosiddetta linea ligure. Eticità scontrosa, ragionamenti controcorrente, paesaggi marini non mancano. E non mancano echi di Camillo Sbarbaro, Giorgio Caproni, Edoardo Firpo. In uno dei suoi ultimi testi, Bruno Lauzi parla della sua malattia, e descrive il suo tremore di parkinsoniano con l’immagine bellissima, indimenticabile, della «mano-farfalla». Credo che sia la sua poesia più toccante. Una specie di allegro, commovente, dolcissimo testamento, un invito ad amare la vita nonostante tutto, e sino alla fine. E proprio questo è il messaggio segreto, definitivo della poesia. Buon viaggio, caro Bruno.

Non ci dimenticheremo né Ritornerai né la tua versione di My Funny Valentine. Ma neppure le tue barzellette esilarantissime, le tue battute folgoranti e malinconiche, e quella «mano-farfalla» che trema come una nota, o una lacrima.

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