La risposta del governo alla turbolenza sui
mercati è stata quella di rendere più dura la manovra fiscale. È ciò
che chiedono i mercati? Sì, ma solo apparentemente. Ci spieghiamo
meglio. Quando in un solo giorno la differenza di rendimento tra un
titolo di Stato italiano e tedesco aumenta dell’uno per cento c’è poco
da ragionare. Quando in una seduta di Borsa un’azione come Unicredit
arriva a perdere anche il 10 per cento del suo valore, senza alcun apparente motivo, i numeri sulla nostra sobrietà
valgono nulla. Impostare una manovra rigorosa e avvicinare l’Italia a
quel pareggio di bilancio che gli altri Paesi europei non hanno, è cosa
buona e giusta. Il neodirettore del Fondo monetario internazionale ha
detto: «Alcuni numeri italiani, come l’avanzo primario sono eccellenti
». E lo ha detto proprio mentre tutto il mercato si disfaceva dei
nostri Btp alla velocità della luce. Valga l’esempio dei banchieri di
Nomura. Da una parte sono i guardiani del nostro debito pubblico
(primary dealer) e cioè, semplificando, garantiscono il buon
funzionamento delle nostre frequenti aste, dall’altra consigliano (è
successo due giorni fa) i loro clienti di non comprare titoli italiani e
preferire quelli spagnoli (avete capito bene, quelli spagnoli).
Vogliamo dire che il gioco è più grande di noi. Sui mercati internazionali esistono tre grandi questioni irrisolte.
La prima riguarda la Cina e la temuta riduzione
repentina della sua crescita (hard landing), la seconda coinvolge gli
Stati Uniti e la paura che cadano di nuovo in recessione, vista la loro
fragile capacità di creare nuova e sana occupazione. E la terza, che è
quella che ci riguarda,è la crisi del debito dell’eurozona e la
fragilità dell’euro.
Tutti devono fare al meglio il proprio mestiere, e
l’Italia non può farsi trovare impreparata e con liti da pollaio che
ne sfianchino la tenuta. Ma, come dicevamo, attenzione a non
sottovalutare il grande caos in cui si trova l’economia mondiale. E
per il quale la capacità di intervento di un singolo governo è ridotto.
Noi dobbiamo fare i compiti, ma non è detto che sia
sufficiente. Nei prossimi cinque anni l’Italia deve rifinanziare 500
miliardi di euro di debito pubblico (insomma chiedere a Nomura & Co.
di piazzarli in asta a compratori che non pretendano interessi da
usura).
C’è una differenza rispetto al passato.E non di
poco conto.In giro per il mondo c’è una massa di liquidità da far
spavento. Dopo la crisi dei subprime, i grandi investitori hanno
tirato i remi in barca. E hanno in cassaforte cash da impiegare come
raramente è avvenuto (senza leva) negli ultimi decenni. È più comodo
mettere nell’angolo un Paese che ha bisogno come il pane di quattrini
come l’Italia,che investire nel suo debito a tassi ridotti come erano
fino a poche settimane fa. Il morso della speculazione non si è affatto
fermato. Anzi il primo boccone è stato talmente saporito da far ritenere
che non si fermerà.
Una seconda differenza rispetto al recente passato è
che oltre alla liquidità c’è in giro un’abbondanza di risk manager. Ci
spieghiamo meglio. Dopo le botte del 2008, i grandi investitori hanno
ovviamente affinato la loro sorveglianza sulla gestione del rischio.
Non vogliono più trovarsi impelagati in attività che saltano. Non hanno
intenzione di stare un secondo di più laddove il rischio non è
sufficientemente compensato da un buon rendimento e da una giusta
ponderazione.
Volete un esempio? Le banche italiane, comprese le
ultime dichiarazioni fatte da Mario Draghi, vengono considerate
solidissime e al riparo da rischi sistemici. E negli ultimi due giorni
hanno ripreso un po’ di fiato persino in Borsa.Ma è solo una parte della
Luna, quella più visibile. Il costo per assicurarsi contro il rischio
del fallimento di una banca italiana (comprando uno strumento
finanziario che si chiama Cds) è invece continuato a salire. È arrivato a
quota 500 per il Banco Popolare, 303 per Unicredit e così via. Il che
vuol dire che in Borsa questi titoli hanno fatto un passetto in avanti,
mentre i sapientoni che gestiscono il rischio sanno che quelle banche
in realtà sono più fragili di quanto appaia. Vero o sbagliato che sia, è
il mercato. E questo dice, oggi. Non è il mercato del-le grida, dei
risparmiatori, è il mercato di chi fornisce quattrini (e cioè la
materia prima) alle banche. Un segnale preoccupante.
La morale è che Tremonti e Berlusconi possono ( e devono) fare la manovra migliore del mondo e far sì che non si diano spunti a speculatori e risk manager, ma la partita è molto più grossa di noi.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.