«Manovra vecchia, confusa e massimalista»

Gian Maria De Francesco

nostro inviato a Prato

«La necessità è capire che dobbiamo cambiare questo Paese. A partire dalla politica. Non possiamo più avere coalizioni come quella attuale in cui la sinistra conservatrice e massimalista frena il futuro di questo Paese e lo dobbiamo dire forte. Non è con l’invidia che si fanno le Finanziarie. Abbiamo bisogno di un nuovo progetto». Il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, nel suo intervento conclusivo al Forum della Piccola impresa a Prato, ha utilizzato parole dure nei confronti della maggioranza, troppo sbilanciata verso l’ala radicale e poco sensibile ai richiami degli imprenditori.
Il numero uno di Viale dell’Astronomia non è stato tenero neanche nei confronti della Casa delle libertà e della manifestazione organizzata dal governatore del Veneto, Giancarlo Galan. «Ho sentito che a Vicenza hanno fischiato l’inno di Mameli. È una cosa vergognosa, una forma di populismo che non ci piace. L’Italia non ha bisogno della politica del “tanto peggio tanto meglio”», ha sottolineato.
Gli unici esponenti del mondo politico che hanno ricevuto l’incoraggiamento montezemoliano sono stati i due animatori del «tavolo dei volenterosi» Daniele Capezzone e Bruno Tabacci, impegnati a correggere la Finanziaria che ha scontentato tutti. Montezemolo ieri a Prato ha voluto soprattutto ribadire il suo ruolo di rappresentante di tutti gli industriali italiani, grandi e piccoli. Ha voluto riproporsi come leader di una confederazione che negli ultimi mesi si è divisa non solo su base dimensionale ma anche tra coloro che volevano dialogare con l’Unione e coloro che rifiutavano l’apertura. E, presentandosi con la veste del presidente di Ferrari e dell’azionista di Poltrona Frau, in parte c’è riuscito se il presidente della Piccola industria, Giuseppe Morandini, ha definito il suo intervento «eccellente e coraggioso». Ed è proprio dalla questione Tfr che bisogna partire per comprendere la portata del discorso di Montezemolo di ieri.
Tfr. Secondo il presidente di Confindustria il trasferimento del Tfr inoptato al Fondo Inps rappresenta «una sorta di polpetta avvelenata». Il provvedimento, però, non è stato bloccato, perché il governo ha fatto presente che si trattava di «un terzo della manovra». Quindi, si è raggiunta la pre-intesa con la soglia dei 50 dipendenti per «ridurre al minimo l’impatto sul sistema delle imprese», anche se Montezemolo ha confidato che avrebbe preferito un tetto più alto, a 100 addetti. Il leader degli imprenditori non si è rivolto alla platea pratese parlando a braccio di questo argomento, ma rispettando quasi fedelmente il testo del discorso, avvenimento inusuale. «Abbiamo trovato due modalità diverse per uno stesso obiettivo, quello di proteggere le imprese dagli effetti negativi di una misura che continuiamo a considerare ingiusta». Per le medio-grandi, infatti, si punta a ridurre o azzerare gli oneri finanziari aggiuntivi. Per le piccole si cercheranno di evitare problemi di liquidità e di struttura patrimoniale (e su questi temi ha raccolto la disponibilità del presidente Abi, Corrado Fissola). «È chiaro - ha concluso - che il nostro eventuale assenso a questa ipotesi è condizionato in maniera irrinunciabile alla totale contestualità tra devoluzione del Tfr e compensazioni, ma riteniamo altrettanto importante aver chiesto e ottenuto sostanziale temporaneità del provvedimento», che dovrà essere ridiscusso nel 2008.
Un nuovo patto. Montezemolo non si è dilungato nelle critiche alla Finanziaria («Dire che è vecchia e confusa è dire poca cosa»). In mattinata ci aveva già pensato il vicepresidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, a ricordare che la manovra è «tutta tasse e pochi investimenti» considerato che gli stanziamenti per l’innovazione nel 2007 (315 milioni al netto del Tfr) sono inferiori ai costi del Parlamento (343 milioni). Il leader degli industriali ha però voluto rimarcare che la legge di bilancio è impostata sullo «spirito del dare a qualcuno e togliere ad altri». Gli imprenditori, ha aggiunto, «hanno iniettato nel sistema Paese virus importanti» come concorrenza e internazionalizzazione. «Ci lascino lavorare e ci lascino fare il nostro mestiere», ha precisato il presidente della Ferrari guadagnandosi molti applausi. Di qui il rilancio del patto per la produttività che Montezemolo riproporrà all’assise di gennaio. Punto fondamentale della proposta, che mira a ridisegnare la politica dei redditi, è legare le retribuzioni alla produzione e ai risultati raggiunti dall'impresa. Poi una piccola stoccata agli istituti di credito. «Abbiamo bisogno di banche che finanzino i nostri progetti oppure ce ne facciamo una che, anziché chiedere garanzie, si prenda un po’ di rischio imprenditoriale», ha sottolineato.
Politica. «Il Paese ha bisogno di forze riformatrici e orientate al futuro per battere un massimalismo che è ancora troppo diffuso». È la parte più tagliente della lettera che ieri Montezemolo ha inviato al seminario di Glocus a Monteporzio Catone. Un auspicio rinnovato anche nel discorso di Prato iniziato proprio dalle promesse mancate del governo Prodi. «Ho sentito dire dal presidente del Consiglio “faremo grandi riforme” e non le ho viste». E dall’ondata di neostatalismo. «Nel caso di Autostrade e Telecom - ha aggiunto - c’è il rischio di ingerenze non accettabili della politica o addirittura il rischio della rimessa in discussione dei contratti».

Il numero uno degli industriali ha poi toccato tutti i temi che hanno caratterizzato i suoi tre anni di presidenza: l’eccessivo peso della burocrazia, l’indulto che rimette in libertà i «mascalzoni» come unico esempio di impegno bipartisan, le sofferenze del sistema pensionistico e la proliferazione di partitini che ogni sera occupano «i primi 10 minuti dei tg». «La crescita economica - ha concluso - è merito delle imprese. Se noi siamo forti, gli italiani reagiscono. E gli italiani hanno bisogno di un Paese forte».

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