Mantova, al Festivaletteratura cattivisti meglio dei buonisti

Il bestsellerista radical-chic Alessandro Baricco pensa in positivo: non temiamo il futuro, andiamogli incontro con fiducia. Il comico-scrittore Paolo Villaggio se la prende invece con vecchi, giovani ed eroi

Mantova, al Festivaletteratura 
cattivisti meglio dei buonisti

Mantova - Alessandro Baricco parla del suo libro-saggio I barbari, di cui sono uscite diverse edizioni rivedute. «Sono contento di incontrare la gente e di parlarne ad alta voce. Mi piace la sopravvivenza ostinata di questo libro in tutte le sue forme. Ero ossessionato da persone che mi chiedevano di partecipare a battaglie in difesa di qualcosa che stava morendo, aggredito da una forma misteriosa di diverso istinto collettivo: le magliette dei calciatori senza gli sponsor, il formaggio di fossa, i piccoli librai, la politica come si faceva una volta, nelle piazze e non in televisione. Ho capito che il problema era che la gente stava distruggendo qualcosa. Ma era inutile pensarci».

«La domanda vera è: ci sono movimenti collettivi, che ci portano a modificare la realtà in modo apparentemente suicida. Ma quali sono gli aspetti rovinosi e quali quelli costruttivi? La sparizione della piccola libreria è la stessa cosa che la sparizione del formaggio di fossa. Che cos’hanno in comune questi casi? L’allargamento nella massa dei consumi, maggiori profitti, qualche svolta tecnologica. La barbarie ha sostituito i valori civili. Ma le cose non sono così banali. Per esempio: la Rete è un mondo completamente barbaro.

«Apparentemente le potenze del Male ci stavano privando di tutto quello che aveva senso. Ma poi ho capito come funziona il motore di ricerca Google. È l’unico sistema che ordina i risultati sulla base dei “link”, cioè delle citazioni contenute in tutte le pagine di tutta la Rete. Un principio accettato dalla comunità scientifica. C’è voluto un po’ per arrivarci, la civiltà si oppone ai cambiamenti. Eppure ci sono arrivati due ragazzotti piuttosto “barbari”, gente che mangiava al fast food.

«Oggi la maggioranza del mondo va su Google per sapere come muoversi. Non solo gli intelligenti “di nicchia”. Dunque, ciò che decide i luoghi del senso è il coagularsi di un movimento: non di una competenza o di una ricerca in sé, ma di un movimento veloce e laterale nello spazio. Una traiettoria che sta in superficie e che raramente approfondisce e che va a cercare i posti di maggiore movimento collettivo. Il termine americano è “surfing”, quello italiano è “navigare”. Sono parole che vogliono dire che ci muoviamo in superficie. Un tipo di schema mentale. La parola “cercare” del resto recupera l’idea di cerchio. Girare intorno a quello che si vuole catturare. Ho pensato che questo modello potesse funzionare anche in altri ambiti di esperienza, non solo quello del sapere. E così ho cominciato a “vedere” il movimento.

«Mi sembra che il modo che abbiamo trovato e accettato di conoscere attraverso Google non è sostanzialmente diverso dal modo che abbiamo accettato e trovato per fare esperienza nella vita. Quando vedo tutti noi imbarbariti alla ricerca di un senso, vedo che ci muoviamo tutti in uno stesso modo. Tutti i gesti che ci sembrano ormai impoveriti, ci appaiono oggi leggeri e più vuoti, perché sono diventati delle stazioni di passaggio.

La velocità non è una controindicazione al sapere, ma una geniale reinvenzione della superficialità. Non esiste la dicotomia superficialità/profondità. È un’alternativa che non c’è più da tempo. La mutazione ci attraversa e ci riguarda tutti. È come essere vissuti nei primi dieci anni del Romanticismo».

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