Mantovano: «Ma dopo il voto dovremo fare i conti con lui»

«La scelta di Fini non ha nulla a che fare con i valori della Destra: ed è troppo dilaniante per non diventare presto un problema politico»

Mantovano: «Ma dopo il voto dovremo fare i conti con lui»

Laura Cesaretti

da Roma

«La posizione assunta da Gianfranco Fini non ha nulla in comune non solo con gli atti e i valori fondativi di An, ma neppure con la storia e la tradizione della destra italiana». La vibrante scomunica del leader di Alleanza nazionale arriva dal cattolicissimo sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano. Che auspica, a breve, un redde rationem nel partito: «Chi spera che, passato il referendum, questa vicenda possa essere riassorbita ha la mia comprensione ma si sbaglia: è stata troppo dilaniante. È un grande problema politico che va affrontato nella sua dimensione, al più presto».
Onorevole Mantovano, non le pare di drammatizzare? Fini ha solo utilizzato la libertà di scelta che An ha lasciato sul referendum...
«C’è differenza tra una posizione personale che rientra nella libertà di coscienza e il fare campagna referendaria. Con l’intervista al Corriere della Sera e i giudizi sull’astensione siamo andati ben oltre il recinto: è una posizione legittima, per carità, ma in totale contraddizione con i principi di An e della destra su temi qualificanti come quelli della vita. E un dato di fatto, non un mio giudizio».
Decidendo di andare a votare Fini si è posto fuori da An, secondo lei?
«Oggettivamente, da una parte c’è un leader che sostiene quelle tesi, dall’altra la base del partito e i suoi quadri che sono impegnati con passione e dedizione per il non voto. Peraltro, sul merito dei quesiti Fini si è limitato a ripetere il Bignamino dei referendari, senza aggiungere nulla di più approfondito. Ma tralasciando il merito, trovo incomprensibile la sua sottovalutazione del senso politico di questa consultazione, con la richiesta ai partiti di “fare un passo indietro”. Vorrei ricordare a Fini che il referendum c’è grazie alle firme raccolte dal partito principale dell’opposizione, i Ds, il cui leader è ora impegnatissimo nella campagna per il sì, come se si fosse alla vigilia di un’elezione politica. E intanto Bertinotti avverte che il significato di questo referendum va ben oltre il 13 giugno. Chi deve fare un passo indietro? Non critico i ds o Rifondazione, ma chi da questa parte non coglie un dato politico evidente».
E quale sarebbe?
«Nel centrosinistra, Ds e Prc cercano di far prevalere la linea Zapatero nella loro coalizione. Questo spiega l’aspra dialettica interna al centrosinistra, e la forte dissociazione di Rutelli. Che bisogno ha Fini di far sponda a Fassino e Bertinotti?»
Sta dicendo che Fini sarebbe diventato zapaterista?
«Non dico questo, certo non lo è. Ma la vittoria ipotetica dei sì sarebbe non un punto di arrivo ma di partenza: carburante aggiuntivo nel serbatoio della sinistra per far prevalere la sua linea rispetto al centro. Perché fare sponda? E perché dire che l’astensione è “diseducativa” e “opportunista”? Vorrei che Fini lo ripetesse guardandomi negli occhi».
Che conseguenze trae da tutto ciò? Se ne vuole andare anche lei da An, come dicono altri esponenti cattolici?
«Non ho alcuna intenzione di prendere le distanze da An, ho la tessera per la mia adesione convinta ai suoi principi e alle sue tradizioni.

Ma Francesco Storace ha mille ragioni a chiedere dove stiamo andando: si capisce da cosa si è allontanato il leader, ma non dove voglia arrivare. Di certo, sta sostenendo il contrario di quel che sostiene la destra in tutto il mondo, da Bush in giù».

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