Avanti un altro. Con l'audizione di ieri a Roma del rappresentante del Fondo Monetario Internazionale si è ingrossato il club di autorevoli osservatori che si dicono preoccupati soprattutto per l'eccessivo aumento delle entrate previsto in Finanziaria. Nonostante questo, le disposizioni della Presidenza del Consiglio appaiono chiarissime: negare tutto e ripetere come un mantra che le nuove tasse stabilite nella manovra sono solo 4 miliardi su 40 totali e chi sostiene il contrario è un sovversivo propagandista.
A parte il fatto che non si sa nemmeno con certezza il saldo complessivo della legge finanziaria, perché i numeri variano allegramente da 33 a 42 miliardi di euro (e già questo dovrebbe essere un buon indice dell'affidabilità dei numeri diffusi dalle fonti dell'Unione) è opportuno mettere qualche punto fermo perché i miliardi di euro non sono monetine e non è il caso di parlarne con leggerezza.
Cominciamo con il dare una cattiva notizia ai lettori: buona parte dei 4 miliardi di tasse di cui parla Prodi non sono ancora stati né approvati né discussi, perché si riferiscono ad esempio alla tassazione sui risparmi, quindi i prelievi che già hanno fatto infuriare gli italiani sono trattati in un generico «altrove» che Prodi, evidentemente pensando di avere a che fare con un popolo di analfabeti, non vuole riconoscere come tassa. Certo, «tecnicamente» allocare il Tfr all'Inps (5 miliardi) non è una tassa, ma tocca le imprese. «Tecnicamente» aumentare i contributi previdenziali (4,5 miliardi) non è una tassa, ma tocca i guadagni di tutti i lavoratori. «Tecnicamente» costringere le Regioni ad aumentare la loro fiscalità non è una tassa dello Stato, ma al cittadino poco importa se ad esigere il tributo sia lo Stato, la Regione o il Comune.
Per quello che riguarda le altre entrate, come ad esempio gli studi di settore, quello che si finge di non capire è che è ben vero che si tratta di misure presuntive, quindi di per sé non sono una tassa, ma possono avere solo due effetti: o il contribuente per evitare fastidi si adegua (e nel qual caso le tasse per lui aumentano) o si oppone, e nel qual caso il gettito diminuisce e nelle casse dello Stato si crea un buco. Le tasse quindi non sono solo quelle con il cartellino con il nome sopra, ma l'aumento delle entrate pervade tutto l'impianto di questa sventurata legge, e a consuntivo ad una generica voce preventiva segnalata come «entrate» si potrà solo dare il nome di tassa o di buco, al contrario delle spese, che per consolidata tradizione tendono semmai a sforare, in certi casi di molto, le cifre previste.
Si tratta di un giochino in cui continuiamo a non vedere né l'equità né lo sviluppo, e chissà se qualcuno ha spiegato all'analista del Fmi che si sta pensando di portare la tassa sui risparmi al 20% anche per i titoli già emessi? «Tecnicamente» una tassa patrimoniale, ma probabilmente si sta già pensando a qualche nome creativo da dargli: all'«armonizzazione delle aliquote» già non crede più nessuno. Claudio Borghi
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